Ho conosciuto Maurizio Costanzo nel suo momento più buio, quando si era bruciato sul braciere della P2 e tutti, anche coloro che gli avevano fin lì leccato i piedi, anzi soprattutto costoro come vuole la consuetudine flaianesca italiana (salire sul carro del vincitore, picchiare sul perdente) lo schienavano. Il suo isolamento era impressionante, quasi un quadro di de Chirico, i personaggi si rifiutavano di andare al suo show – aveva penosamente ricominciato da Rete4 – e lui stesso si vergognava persino ad uscir di casa.
La nostra conoscenza ed anche un briciolo di amicizia risale a quel periodo (naturalmente ero stato molte volte al suo show, ma in quei casi i rapporti erano del tutto superficiali, Maurizio si limitava a chiedermi che cosa pensavo di dire, per appropriarsene o per tapparmi la bocca al momento opportuno a seconda che gli facesse più comodo). Gli feci quindi un’intervista post P2 per Amica in cui non gli scontavo nulla ma davo atto a quest’uomo, precipitato da un giorno all’altro dalle vette del successo alla polvere, del lavoro, della fatica, della grandissima forza di volontà con cui stava cercando di rialzarsi. Fra i più accaniti e feroci con Costanzo c’erano i giornalisti della Rizzoli-Corriere per la quale Costanzo era stato adulato direttore dell’Occhio e della Domenica del Corriere (due fallimenti). Per questo era importante per lui ritornare, sia pur come intervistato, su un giornale del Gruppo come era Amica. E infatti Pietroni, il direttore di Amica, ebbe delle grane con i sindacalisti della Rizzoli molto predisposti al linciaggio (in questo come in altri casi, Tobagi docet). Costanzo mi è sempre stato grato per quell’articolo e, interpretando la cosa a modo suo, un po’ “mafiosetto”, come un favore mentre per me era solo un articolo scritto nei termini che mi parevano più giusti. Quando fu tornato in auge mi invitò ripetutamente al suo show per sdebitarsi di un debito che non aveva.
Nell’intimo Maurizio non era un uomo cattivo, solo un po’ vile. Non cercava mai lo scontro diretto, frontale di cui aveva orrore e un timore quasi fisico, la sua tattica era avvolgente e aveva trasmesso questo metodo anche alla moglie, Maria De Filippi (naturalmente parliamo di allora – siamo nei primi anni 90 – in seguito i rapporti di forza fra i due sarebbero cambiati, anzi si sarebbero ribaltati). Una volta che vidi la De Filippi in quel suo infame programma, Padri e Figli, le tolsi i panni di dosso sul Tempo di Roma. Lei, che non mi conosceva, mi telefonò la sera stessa, a casa, dimostrandosi dispiaciuta e attenta alle critiche che le avevo mosso. Un modo di fare democristiano, tutto sommato, visto che cosa è venuto dopo la DC, meno sgradevole di altri.
È una comica leggenda metropolitana che Costanzo fosse un uomo di sinistra, utile a Berlusconi per dire che sulle sue TV c’erano anche degli oppositori. Pupi Avati, che fu uno dei pochissimi amici, tre in tutto, a rimanergli vicino all’epoca dello scandalo P2, ed è quindi una fonte non sospettabile di astio, mi ha detto una volta: “Maurizio è antropologicamente fascista”. Io non mi spingo così lontano, dico che era un qualunquista della più bell’acqua. Inoltre, cosa rara per chi aveva milioni di fan adoranti, era uno che non se la dava.
Costanzo aveva il mito del lavoro, cosa singolare per un romano de Roma, si realizzava nel lavoro, fuori non esisteva. Mi capitò una volta di andarci a cena, con Nantas Salvalaggio e un altro giornalista che non ricordo, e lui fece praticamente scena muta. Del resto il suo orizzonte culturale non andava e non è mai andato oltre la Garbatella. Diventava protagonista e domatore solo sul palcoscenico, dove usava una frusta morbida, vellutata, insidiosa e spietata con i deboli, e pronto ad aprire il ventaglio dell’adulazione e dell’ossequio con i forti.
Il primo Costanzo, quello, se non ricordo male, di Bontà loro, faceva simpatia perché, con un fisico così insignificante, impersonava l’uomo della strada che punzecchiava, sia pur con prudenza, i potenti, e il pubblico si immedesimava.
Qualche anno dopo la vicenda P2, quando lui era tornato in grande spolvero, poiché passavo le vacanze nella vicina Talamone, era agosto, andai a trovarlo nella sua villa di Ansedonia, che affittava come ci tenne a precisare perché non aveva i soldi per comprarsela. Dopo aver attraversato un immenso parco, scortato dalle sue guardie del corpo e da numerosi famuli, entrai nella villa e lo vidi al centro di un grande salone, in piedi, con indosso una larghissima camicia (era già dimagrito) lunga fin quasi alle ginocchia, che gli dava un’aria da satrapo orientale, un po’ lascivo, con un telefonino in mano che non abbandonò un istante, facendo mille chiamate o ricevendone, nelle due ore che stetti lì. “Cosa vuoi, se non lavoro mi annoio a morte”, mi disse vedendo il mio sguardo perplesso e interrogativo. Durante il mese di agosto, che dovrebbe essere di riposo, organizzava il lavoro dell’annata. Sotto le sue finestre aveva uno degli angoli di mare più incantevoli d’Italia, fra l’incontaminata Feniglia e il litorale esclusivo di Ansedonia, ma non andava mai a fare il bagno. Praticamente non usciva mai, o quasi, stava lì rintanato nella sua villa o, al massimo sulla terrazza con una piscina che non usava, come un grosso ragno al centro della sua tela, e lavorava. Lei, Maria De Filippi, invece no, lei usciva, andava a cavallo, si divertiva. Quel pomeriggio la incrociai per un attimo, vestita appunto da cavallerizza, e mi parve più bella e affascinante di com’è in televisione. C’era un forte contrasto fra i tratti androgini, duri nella loro regolarità, di lei e la cedevolezza e la mollezza che era di lui. Mi parvero una buona coppia, affiatata, complice.
Avendo avuto successo con un talk show, Costanzo aveva una fiducia illimitata, infantile e un po’ comica nel potere taumaturgico della parola. Qualsiasi situazione si presentasse, la sua reazione era: “Parliamone”. Uno si è rotto la gamba? “Parliamone”.
Durante il lockdown, non avendo di meglio da fare, ho rivisto programmi del passato fra cui molti Costanzo Show. Devo dire che rivisti oggi sono, a parte l’insopportabile ‘TV del dolore’, molto meno banali di quanto mi apparivano un tempo: persone che raccontano le loro storie, i loro drammi, il loro vissuto, artisti, politici, il tutto tenuto insieme da un filo psicanalitico o sociologico, comunque da un tema di fondo anche se non particolarmente profondo.
Non pensi il lettore che questa mia sia la solita sviolinata ad un uomo che è morto. Anche questa volta non ho scontato nulla a Maurizio, come in quell’intervista su Amica in un lontano giorno di ottobre.
Il Fatto Quotidiano (26 febbraio 2023)