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La stampa italiana, tranne naturalmente quella di destra, ha cercato in questi giorni di rendere giustizia a Licia Pinelli, morta a 96 anni l’11 novembre, moglie del ferroviere anarchico Pino Pinelli, quella giustizia che Licia non ha mai avuto e ancora aspetta.

Ho conosciuto molto bene, non solo per lavoro ma per reciproca empatia, gli ambienti anarchici dello Scaldasole e della Ghisolfa, non solo i personaggi più noti, come appunto Pinelli e Pietro Valpreda, ma ragazzi meno noti al pubblico: Gio Fallisi che aveva una benda bianca sull’occhio destro, frutto di un pesantissimo pestaggio di quei pulotti che tanto piacciono a Giorgia Meloni e Vittorio Feltri, Della Savia, Tito Pulsinelli, cioè il gruppo che fu accusato di aver messo una bomba alla Fiera di Milano il 25 aprile 1969 preludio a quella devastante alla Banca dell’Agricoltura del 12 dicembre. Fecero sette mesi di carcere per poi finire assolti per “insufficienza di prove”. A quei processi ero presente come cronista dell’Avanti! e lì, parlando fra le sbarre della “gabbia”, incontrai altri giovani anarchici che non conoscevo.

Dopo la bomba alla Banca dell’Agricoltura la stampa borghese diede il meglio di sé. Mi ricordo un articolo sul Corriere d’informazione di Vittorio Notarnicola dove il giornalista deduceva la colpevolezza di Valpreda perché era affetto dal morbo di Buerger. Questo per Valpreda, ballerino (quel morbo colpisce soprattutto alle gambe) era una condanna della vita e non della cosiddetta giustizia italiana che peraltro lo tenne in carcere quattro anni senza processo, cosa per cui gli “ipergarantisti” di oggi, o i loro ascendenti intellettuali, non batterono ciglio. Fui fra i non molti che firmarono un appello per la scarcerazione di Valpreda ed è l’unico appello che ho firmato in vita mia ritenendo che, in genere, gli appelli sono un modo per darsi visibilità e fare, senza spese, le “anime belle”.

Pinelli era un classico anarchico-idealista, un uomo mite che non avrebbe fatto male a una mosca. In ogni caso le poche, anche se importanti, volte che hanno ucciso, gli anarchici lo hanno fatto seguendo una certa etica implicando il proprio corpo, uomo contro uomo, come fu per gli anarchici russi che Albert Camus ha definito “i terroristi gentili”.

Sono stato al famigerato quarto piano della Questura di Milano per un interrogatorio che riguardava la strage di Piazza della Loggia. Mi sono appoggiato al famoso parapetto. Era sufficientemente alto perché uno non potesse cadere, come si è scritto, per un “malore attivo”. Le cose, a mio parere sono chiare: i poliziotti che in quel momento interrogavano Pinelli gli hanno dato un colpo mortale sul collo, fra l’atlante e l’epistrofeo, e poi per nascondere l’omicidio l’han buttato giù dalla finestra. A un Pinelli che si butta giù dalla finestra urlando “è la fine dell’anarchia!” non potrò mai credere.

Luigi Calabresi non era presente nella stanza ed è stato assolto, ma i poliziotti che erano in quella tragica stanza in qualche modo se la sono cavata.

E qui si innesta un’altra tragica vicenda parallela: l’assassinio di Calabresi che fu perpetrato dai terroristi di Lotta continua, Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, che certamente anarchici non erano (sia detto di passata, Calabresi, che aveva fatto esperienza negli Stati Uniti, era un ottimo poliziotto che sapeva intrufolarsi negli ambienti su cui intendeva indagare riuscendo ad ottenerne la fiducia e ricavandone le notizie che gli interessavano).  Sofri, che ottenne anche una revisione del processo, caso quasi unico nella storia giudiziaria italiana, condannato a 22 anni di carcere di cui ne scontò 7, sfruttò quella nomea per diventare, per parecchi anni, un editorialista del più importante quotidiano di sinistra, Repubblica, e del più venduto settimanale di destra, Panorama.

Nell’occasione di quel mio interrogatorio in Questura conobbi anche i metodi della Digos, girano intorno per ore fino ad arrivare alla domanda decisiva che dovrebbe incastrarti. Io ero sospettato insieme ad altri giornalisti, fra cui Marco Sassano dell’Avanti!, di avere contatti con ambienti eversivi della sinistra. La denuncia era anonima e mi indicava come giornalista dell’Avanti!, peccato che io in quel periodo lavorassi, e da un bel po’ di tempo, per L’Europeo. Naturalmente non se ne fece nulla ma lo stress fu notevole.

Ho avuto modo di avere contatti, per lavoro, con alcuni agenti dei Servizi, fra cui la famosa “spia” Giannettini e il capitano Labruna e di conoscere il loro assoluto dilettantismo. Giannettini lavorava così: faceva uscire un dettaglio insignificante su una qualche inchiesta, Corrado Incerti e Sandro Ottolenghi de L’Europeo, che si occupavano allora delle “piste nere”, ingigantivano la notizia e la infiocchettavano con le loro fantasie. Giannettini li riprendeva, aumentando la dose, e così all’infinito. Insomma la famosa “spia” era un formidabile fancazzista, ma Labruna era anche peggio. Questo lo stato dei nostri Servizi. Alle volte mi dico: meno male che c’è il Mossad.

Quando ci fu il botto alla Banca dell’Agricoltura io mi trovavo nel mio ufficio alla Pirelli insieme ad altri impiegati e tutti pensammo che fosse esplosa una caldaia. Non eravamo ancora abituati a fatti di questo genere. Era invece nata quella che è stata chiamata la “strategia della tensione”.

Molti commentatori, in polemica con l’attuale governo di destra, attribuiscono la bomba alla Banca dell’Agricoltura e quel che ne è seguito ai “servizi deviati” in combutta con i fascisti di allora. Gli anarchici e i fascisti erano, sia pur per motivi diversi, il bersaglio prediletto della borghesia capitalista.

Che i misteriosi “servizi deviati” abbiamo avuto una parte pesante in questa storia è fuor di discussione anche se poi non si riesce mai a dare un nome ai singoli soggetti che ne facevano parte. Bisogna tener presente che negli anni di cui abbiamo parlato eravamo in piena guerra fredda e quindi Stati Uniti e Unione Sovietica hanno avuto una parte in queste vicende. Ma io non inquinerei una storia così delicata con la solita gazzarra fascisti/antifascisti. Mi piace invece ricordare la dignità con cui Licia Pinelli ha condotto la sua battaglia riuscendo ad opporsi alla chiassosa ingiustizia di cui è stata vittima con l’implacabilità del silenzio.

 

23 Novembre 2024, il Fatto Quotidiano