pubblicato su Il Gazzettino il 4 marzo 2011
Ora è ufficiale. Gli orchi non sono solo gli assassini di Yara e Sarah. Sono anche, e forse di più, i fotografi, i cameramen, i giornalisti, televisivi e di carta stampata e quelle masse di persone che, col pretesto di portare fiori, bigliettini, cuoricini, si affollano davanti alle case dei parenti delle vittime o sui luoghi dove sono stati trovati i loro cadaveri, protagoniste di un nuovo e tutto moderno tipo di turismo; il turismo dell’orrore. Tanto per non farsi mancar nulla. Con un’ordinanza, sacrosanta, il sindaco di Brembate di Sopra ha proibito di sostare davanti all’abitazione dei Gambirasio, perchè il dolore della famiglia non sia ulteriormente ulcerato dall’assedio di questi licantropi travestiti da agnelli, mentre il campo di sterpaglie di Chignolo d’Isola, dove sono stati ritrovati i resti della ragazza, viene presidiato dalle forze dell’ordine e non solo perchè non siano cancellate tracce, segni, elementi che potrebbero risultare utili alle indagini.
Era ora che si cercasse di mettere un freno a queste oscenità. Quelle folle, anche se il processo è probabilmente inconscio, non vanno in quei luoghi per partecipare ad un dolore ma per appropriarsene. Indebitamente. Per poter dire a se stessi quanto si è bravi, buoni e solidali. Non è così. Scrive Nietzsche: "La sofferenza degli altri ci fa bene. Questa è la dura sentenza". Quando, come si è sentito tante volte, una madre dice: «È come se avessero ucciso mia figlia» in realtà pensa: «Meno male che non è capitato a mia figlia». E la presenza delle televisioni stimola l’esibizione di questa pietà falsa, priva di ogni autentica misericordia.
Pudore, ritegno, contegno, dignità sono scomparsi dalla faccia di questa terra. Li hanno dimostrati solo i genitori di Yara che sono rimasti chiusi nel loro dolore, il più possibile lontani da ogni ribalta. Non dico che anche estranei non possono provare un dolore sincero, o piuttosto un orrore, per la tremenda sorte di questa ragazzina-bambina, ma se lo tengono per sé e se gli cade una lacrima lo fanno al riparo dello sguardo altrui.
Dopo la scoperta del cadavere di Yara, le tv, pubbliche e private, sono state alluvionate da talk show, zeppi di psicologi, sociologi, criminologi, scrittori, semiologi, esperti a vario titolo che svisceravano la vicenda in ogni dettaglio, senza peraltro saperne nulla. E alcuni conduttori, con una coda di paglia che bruciava fino al soffitto dello studio, hanno avuto anche lo spudorato coraggio di denunciare lo scempio massmediatico mentre lo stavano compiendo. E alcuni commentatori lamentavano invece l’assoluta riservatezza in cui i magistrati e la Questura di Bergamo hanno mantenuto le indagini. «Almeno qualche conferenza stampa» piagnucolavano. Ma come? Non si è gridato fino a ieri, almeno per quanto riguarda l’onorevole Berlusconi, contro la pubblicità che si era data alle indagini istruttorie? Due pesi.
Il magistrato non ha alcun obbligo di fare conferenze stampa per dare materiali istruttori in pasto ai dilettanti dei "processi paralleli" e ai loro aficionados. Al contrario. In tempi migliori di quelli che stiamo vivendo i magistrati parlavano solo "per atti e documenti". La riservatezza e la compostezza della Procura e della Questura di Bergamo sono state esemplari. Per tutelare le indagini e la figura e l’intimità di Yara. Le sanguisughe dell’orrore dovranno attendere il dibattimento. Sempre che si scopra l’assassino. O l’assassina.
Massimo Fini