I partiti, e i media loro legati, ritengono che il tonfo del movimento 5Stelle compensi, in qualche modo, l'impressionante fenomeno dell'astensionismo (più di un cittadino su tre a livello nazionale, uno su due a Roma) e ne gioiscono, perchè vedono, o vedevano, in Grillo il 'pericolo pubblico numero uno' che minava il sistema, il loro tranquillo ed eterno ruminar il potere, magari mascherato, opportunamente, con qualche lifting di facciata per rendersi, almeno esteticamente, più presentabili a un'opinione pubblica ribollente.
Si sbagliano. All'indomani delle elezioni politiche di febbraio scrivevo che i partiti avrebbero dovuto ringraziare Grillo invece di demonizzarlo. Per due motivi. Perchè il movimento 5Stelle mascherava un'astensione che, senza la sua presenza, avrebbe raggiunto già allora il 50% (il 25% degli astensionisti propriamente detti più il 25,6 degli elettori che avevano votato Grillo e che, senza di lui, avrebbero disertato le urne). Col 75% di votanti il sistema manteneva la sua legittimità. In secondo luogo il movimento 5Stelle, che è antisistema, rivoluzionario, ma pacifico, canalizzava, istituzionalizzava, innocuizzava una rabbia sociale che potrebbe esplodere, in forme violente, da un momento all'altro. L'astensione, per il sistema dei partiti, è molto più insidiosa. Perchè non è controllabile, non ha una faccia, non è individuabile. Inoltre pone un problema di legittimità democratica. Partiamo da Roma. Che legittimità, che credibilità, puo' avere un sindaco che, nella migliore delle ipotesi, rappresenta il 40% del 50% dei suoi cittadini? La questione diventa ancora più cogente a livello nazionale. Secondo il Barometro politico dell'istituto Demopolis se si andasse a votare domani per le politiche l'astensione crescerebbe di un altro 7% raggiungendo quasi la metà degli elettori. E io sono convinto che se esistesse, come per i referendum, un quorum al di sotto del quale le elezioni non sono valide l'astensione salirebbe ulteriormente. Perchè il ragionamento che molti fanno è: «Che senso ha che io vada a votare, manifestando cosi' il mio totale dissenso, se poi quelli continuano a governare e a fare i loro comodi anche se li ha votati, poniamo, solo il 30 per cento dei cittadini?». E cosi' vanno a votare, turandosi montanellianamente il naso, per questo o per quello, pur sapendo che è del tutto inutile dato che l'uno vale l'altro perchè quella politica, con i suoi adentellati confindustriali, è l'unica vera classe rimasta su piazza di fronte a un indifferenziato ceto medio i cui componenti, vale a dire la maggioranza dei cittadini, sono trattati come sudditi, asini al basto che devono tirare la carretta per i piaceri e i profitti di lorsignori e pecore da tosare quando arriva un'emergenza che quegli stessi hanno causato, con la loro ignavia, con la loro mancanza di capacità previsionale – che dovrebbe essere la dote precipua di un politico – quando non con il malaffare, la corruzione, i loro abusi, i loro soprusi in salsa democratica. E son questi stessi che hanno distrutto la casa che ora pretendono di essere legittimati a ricostruirla invece di avere la decenza di farsi da parte, di sparire. La cosiddetta 'disaffezione per la politica' deriva, in gran parte, da questa impunita impudenza.
Quello che gli uomini politici non hanno capito, o piuttosto fanno finta di non capire, è che non siamo di fronte semplicemente alla impresentabilità di questo o quel personaggio dello 'star system' dirigenziale, sempre rimediabile sostituendolo, ma che quella che è in atto è una crisi di sistema, è una crisi del modello partitocratico, è una crisi, in definitiva, della democrazia rappresentativa che potrebbe portare molto lontano. Altro che gioire per il tonfo di Beppe Grillo.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 31 maggio 2013