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E’ in action una internazionale corsa all’oro. Dal 5 novembre, giorno dell’elezione di Trump ma non ancora del suo insediamento, le istituzioni finanziarie e i trader, cioè coloro che trattano l’oro, potremmo anche chiamarli i nuovi “cercatori d’oro”, “ne hanno spostato quasi 400 tonnellate metriche al Comex, la Borsa dei metalli di New York, una crescita del 75 per cento” (Danilo Taino, Corriere, 13.2).

Quando si ricorre all’oro non è mai un buon segno per l’economia nazionale ma in questo caso internazionale perché l’oro è, storicamente, il tradizionale bene rifugio quando si perde fiducia nelle valute correnti, in questo caso soprattutto il dollaro.

Innanzitutto io non credo affatto che una simile quantità d’oro, le 400 tonnellate segnalate da Taino, esiste in natura. Potrebbe esistere nelle valute agganciate all’oro, legame che però non c’è più da quando nel 1971 Richard Nixon, con una chiarezza cui gli va dato merito, abolì il Gold exchange standard, cioè la truffa, o piuttosto l’illusione che a Fort Knox, negli Stati Uniti, ci fosse realmente una quantità d’oro, 4578 tonnellate di lingotti d’oro, in grado di garantire tutti gli scambi commerciali. E’ ovvio che se le varie Organizzazioni internazionali, la Fed, la Bce, e anche singoli cittadini avessero chiesto nello stesso momento il cambio delle loro valute in oro, Fort Knox sarebbe scomparsa dalla scena. E questo, più in generale, vale per tutte le banche, se tutti i correntisti di una banca chiedessero nello stesso momento il ritiro dei loro depositi, la banca fallirebbe all’istante. Diciamo pure che tutto il sistema finanziario mondiale è basato su una truffa, peraltro condivisa.

L’oro a parte l’estetica, che conta però soprattutto negli ambienti altolocati, non ha nessuna qualità specifica tranne quella di essere, in linea di massima, inattaccabile dai composti chimici. Per questo fino a non molti anni fa era usato in odontoiatria da chi poteva permetterselo, i famosi “denti d’oro”, esteticamente più ripugnanti di un dente marcio o della sua mancanza.

Per questo stupisce che ancora oggi si ricorra all’oro come bene rifugio quando, abbastanza di recente, sono state scoperte le “terre rare” in cui ci sono giacimenti di titanio, litio, berillio, manganese, nichel, rame, gallio, grafite. E alcune di queste, soprattutto il litio, sono indispensabili nell’elettronica cioè, ma è solo un esempio, nelle batterie delle automobili. Non è certamente un caso che Russia e Ucraina disputino sulle terre rare la cui occupazione conta più di quella territoriale.

L’Afghanistan, per esempio, aveva un sottosuolo poverissimo di materie prime ritenute fondamentali (petrolio e compagnia) ma adesso grazie alle ricerche cinesi sul suo territorio (la Cina è il solo grande Paese che non abbia attaccato l’Afghanistan, a differenza della Russia e dell’Occidente) si sono scoperti grandi giacimenti di litio. Ci si augura che questa novità non dia la stura a una nuova occupazione occidentale dell’Afghanistan anche perché l’Afghanistan è chiamato “la tomba degli Imperi” avendo cacciato nell’Ottocento gli inglesi (ci hanno messo trent’anni ma alla fine li hanno cacciati), avendo cacciato nel Novecento i russi mettendoci dieci anni e avendo cacciato la potentissima e vastissima armata occidentale mettendoci vent’anni dimostrando che un popolo che crede nei propri valori è più forte di qualsiasi altro che questi valori non ha o non ha più.

E’ il dramma dell’Occidente dove si stanno distruggendo un paio di generazioni di ragazzi stretti fra l’abuso di stupefacenti e quello, ancora più devastante, degli smartphone. Recentemente, nel tessuto adiposo dei delfini, in zone diverse del golfo del Messico, sono state trovate concentrazioni significative di Fentanyl (Gismondo, il Fatto, 11.2) cambiando anche gli ormoni dei pesci, femminilizzandoli, una metafora illuminante del mondo attuale dove tutto deve essere omologato (se fossi un pesce femminilizzato ricorrerei al Tribunale internazionale dell’Aia).

Sono anche convinto che una vera lotta al traffico di droga non sia mai stata fatta in Occidente perché essendo troppi gli interessi che vedono uniti organizzazioni puramente criminali a insospettabili establishment del mondo occidentale, si è fatto finta, dietro ad azioni e dichiarazioni puramente formali, di non vederli. Prendo ancora per esempio l’Afghanistan. Il Mullah Omar, dopo alcuni anni di intermezzo perché la droga gli serviva per comprare grano dal Pakistan, stroncò la coltivazione del papavero da cui si ricava l’oppio. Con metodi tanto brutali quanto efficaci: ai contadini che si ostinavano a coltivare il papavero venivano bruciati i campi. Ma il Mullah aveva l’autorità, l’autorevolezza, il prestigio per farlo. E questo spiega un altro fenomeno in corso: l’emergere di imperialismi fondati non più su un sistema di governo ma su una persona come è il caso di Donald Trump negli Stati Uniti. Ma è anche il caso della Russia di Putin e, in virtù, o a causa del comunismo, del cinese Xi Jinping. Ma questi nuovi imperatori sono privi di qualsiasi ideale che non sia il Potere e quindi ai nostri ragazzi manca anche un punto di riferimento ideale, un Che Guevara, che fu il mito della mia generazione, inizialmente di sinistra ma successivamente anche di destra.

Ma torniamo all’oro, alla moneta, al denaro. In sé e per sé, in qualsiasi forma si esprima, il denaro non esiste. Non rappresenta nulla e non è collegato a nulla. E’ una scommessa, sempre più accelerata, sul futuro e i bitcoin con tutti i ‘derivati’ ne sono una buona rappresentazione.

Abbiamo già scritto, a proposito del debito americano, che per i soli interessi debitori, cioè accumulati su debiti pregressi, ammonta alla strabiliante cifra di 1,18 trilioni di dollari, che è impossibile che questi debiti vengano pagati. E poiché a un debito corrisponde ovviamente un credito, chi sono i creditori che vengono così fottuti? Noi tutti, ricchi e poveri, belli e brutti. Finché un giorno questo futuro inesistente ci ricadrà addosso come drammatico presente. Quel giorno non avremo nemmeno più un futuro da immaginare. Anni fa quando scrissi Il denaro. Sterco del demonio (1998) pensavo che il giorno del “big crash” sarebbe stato ancora lontano, almeno di un paio di secoli. Adesso questo futuro inesistente, come faccio dire a Elisabetta Pozzi nella nostra pièce Cassandra, rivolgendosi agli spettatori, è qui davanti a noi frutto della nostra pazzia e della nostra follia. E sarà il giorno della nostra liberazione.

 

19 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano

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                                                                                                   L’importanza di chiamarsi Ernesto, Oscar Wilde

Mentre si stanno riabilitando, anzi si elevano loro dei peana, un paio di delinquenti, pluricondannati con sentenza definitiva, intendo Berlusconi e Craxi, cui si dedicano aeroporti, piazze, vie (fino a Previti non ci si è arrivati perché è impresentabile agli occhi degli stessi berluscones tanto che non era presente ai funerali del “lìder maximo”) io voglio parlare qui di un uomo onesto, semplicemente onesto, materialmente e, cosa quasi più importante, intellettualmente che attualmente vive a Montenero di Bisaccia ed è agricoltore. Il suo nome è Antonio, il cognome fa Di Pietro.

Ad Antonio Di Pietro è stato rimproverato di essersi messo in politica nel 1996 creando poi un partito, Italia dei Valori, cioè a due anni di distanza dalle sue famose dimissioni da magistrato. Al momento delle dimissioni di Di Pietro dalla Magistratura Silvio Berlusconi si comportò con lui come si è sempre comportato con tutti: cercò di comprarlo offrendogli il ministero degli Interni. Di Pietro rifiutò affermando che non era corretto occupare quella posizione che gli veniva proposta da un uomo politico che era sotto inchiesta dal 1983. Dopo quel rifiuto Antonio Di Pietro divenne per Berlusconi, che si è sempre vantato di non aver mai insultato nessuno, “un uomo che mi fa orrore” espressione che ho sentito ripetere a un convegno da quell’altra anima candida di Claudio Martelli, che ‘patteggiò’ il suo coinvolgimento nel processo Enimont per 500 milioni, una cifra che forse io non ho guadagnato in tutta la mia vita. In quel processo, incalzato da Di Pietro, Martelli guardava il Pm con occhi gelidi, da assassino, se avesse potuto farlo fuori non ci avrebbe pensato un istante. Io guardavo e inorridivo. Di Claudio ero stato compagno di banco in uno dei migliori licei di Milano, il Carducci. Eravamo stati educati per diventare classe dirigente e adesso si finiva così, incastrati come ladri di polli o meglio di un pollaio molto consistente, perché, ripeto, 500 milioni non si pagano per nulla. Quei milioni avevano consentito a Martelli, protetto da quel Bettino Craxi che poi sarà il primo a tradire (“restituiremo l’onore al Partito Socialista”), di pagarsi una villa sulla via Appia, chiamata “l’Appia dei popoli” e per organizzare feste e festini non però di tipo berlusconiano perché a Martelli, bisogna dargliene atto, non è mai piaciuto conquistare le donne con la forza del denaro. Era un bel ragazzo, aveva fascino fin dai tempi della scuola e lo usava per sedurre. Del resto ancora oggi, a 81 anni, nonostante alcuni cedimenti fisici, resta un uomo affascinante tanto che ha sposato di recente Lia Quartapelle, di quarant’anni più giovane, una parlamentare del Pd non ottusamente aggressiva come in genere quelli del Pd, ma ragionante, che qualche cosa, in politica, deve averlo imparato proprio da Martelli.

Ma torniamo a Di Pietro. Gli è stato rimproverato, come detto, di essere entrato in politica, peraltro due anni dopo le sue dimissioni da magistrato. Io sono invece di parere assolutamente contrario: doveva presentarsi subito dopo le sue dimissioni. Avrebbe preso il novanta per cento dei voti in ragione della sua enorme popolarità, quando anche gli editorialisti dei giornali borghesi, come il Corriere, lo chiamavano “Tonino” (“Dieci domande a Tonino”, editoriale del Corriere della Sera, Paolo Mieli) come se ci avessero mangiato insieme a Montenero di Bisaccia. Io che a “Tonino” avevo sempre dato del lei, e avevo anche cercato di non citarlo nei miei articoli, insieme agli altri magistrati di Mani Pulite (Francesco Saverio Borrelli, il capo del pool, Ilda Boccassini, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, Gerardo D’Ambrosio) rendendomi conto del pericolo di personalizzare le inchieste, gli chiesi: “Perché non è entrato in politica subito dopo le sue dimissioni da magistrato?”. Rispose: “Perché non sarebbe stato corretto approfittare della mia popolarità acquisita come magistrato”. Vero, risposi, anticipando però un concetto che avrei espresso al Palavobis nel 2002, “non si può combattere con una mano dietro la schiena con chi le usa tutte e due e, all’occorrenza, anche il randello”, richiamandomi a Sandro Pertini, aggiunsi “a brigante, brigante e mezzo”, una frase per cui il ministro della Giustizia di allora, Roberto Castelli, leghista, ospite di Bruno Vespa, chiese il mio arresto. Ma siccome non è compito del ministro della Giustizia operare arresti (forse con Nordio ci si arriverà) la cosa cadde nel nulla.

Di Pietro è stato sempre il più attaccato dei magistrati di Mani Pulite, perché era il più esposto, dato che Borrelli aveva avuto l’intuizione di dare a lui il ruolo di Pm in aula perché col suo contadinesco “che c’azzecca?” smontava le solfe senza senso da azzeccagarbugli dei politici colti con le mani nel sacco.

Se Di Pietro fosse diventato un uomo politico al momento giusto, almeno quello che io ritengo giusto, dopo le dimissioni da magistrato, sarebbe stato molto più difficile per Berlusconi sottrargli i parlamentari che avevano aderito al suo partito, caso del senatore De Gregorio, pagato tre milioni perché lasciasse l’Italia dei Valori in favore dei partiti del centrodestra.

Antonio Di Pietro ha avuto sette processi innescati dai berluscones. In tutti è uscito assolto. In uno fu accertato che Silvio Berlusconi, l’uomo “buono e generoso”, aveva pagato due testimoni perché infamassero Di Pietro. I testimoni patteggiarono per falso, ma Berlusconi, il mandante, riuscì ugualmente a cavarsela, come sempre.

In fondo cosa chiedevano, secondo legge, i magistrati di Mani Pulite? Una cosa molto semplice: che anche i rappresentanti della classe dirigente, politici e imprenditori, rispettassero quelle leggi che tutti noi, comuni mortali, abbiamo l’obbligo di osservare. Se poi altre Procure come quella di Venezia, diretta da Carlo Nordio, sono state più neghittose o incapaci, non è colpa certamente dei magistrati del pool di Milano.

Mani Pulite avrebbe potuto essere il crinale della storia recente del nostro Paese. Invece oggi assistiamo a una battaglia senza quartiere fra politica e Magistratura, la quale a sua volta ha le sue colpe perché nella corruzione generale del Paese si è guastata anch’essa (caso Palamara) e Carlo Nordio è diventato ministro della Giustizia mentre Daniela Santanchè, sotto inchiesta per vari reati fra cui una truffa ai danni di uno Stato che non esiste più, resta allegramente al suo posto.

 

Ps. Di Pietro, coerentemente con la sua idea di imparzialità della Magistratura, non ha mai aderito a nessuna corrente che è una delle tabe, insieme alla lentezza, della giustizia italiana.

 

15 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano

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Appena eletto Donald Trump ha stabilito, con un ordine esecutivo, l’uscita degli Stati Uniti dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, seguito a ruota dal presidente dell’Argentina, l’iper-liberista Javier Milei piuttosto caro, a quanto pare, a Giorgia Meloni (al G20 di Rio de Janeiro del novembre 2024, breve stretta di mano a Lula, che pur era il padrone di casa e appresso il ritiro di una statuetta raffigurante Milei alla casa Rosada).

Siamo all’apice, per il momento, della crisi delle grandi Organizzazioni internazionali che avrebbero dovuto garantire pace e bene sulla terra. L’invasione all’Iraq (2003) fu fatta contro la volontà dell’Onu (650 mila morti), idem per l’aggressione alla Serbia del 1999 mentre l’Onu disse sì all’aggressione della Libia del colonnello Mu’ammar Gheddafi attraverso membri della Nato come Stati Uniti, Francia e la sudditanza politica dell’Italia di Berlusconi che con Gheddafi aveva ottimi rapporti.

In realtà dalla fine della Seconda guerra mondiale la posizione di “poliziotti del mondo” è stata presa dagli americani, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Durante la “Guerra fredda” la Russia, soprattutto sotto le presidenze di Eltsin e Gorbaciov, era diventata lo zerbino, anche culturalmente, degli Stati Uniti e l’aggressione all’Ucraina, parlando con voce di Putin, può anche essere letta così: se voi americani vi permettete di aggredire chiunque per i vostri interessi allora posso permettermelo anche io per quelli del mio Paese.

In mezzo sta un’altra grande Organizzazione internazionale in crisi, l’Unione Europea, che divisa in 27 Paesi, che non sono d’accordo su quasi niente di importante ma inflessibili sulle sciocchezze come mettere il tappo alle bottiglie di acqua minerale.

Esiste all’Aia un Tribunale speciale per sanzionare i “crimini di guerra” e i “crimini contro l’umanità”. Peccato che si siano sottratti a questo tribunale gli Stati Uniti (loro, si sa, non commettono mai crimini), la Russia, Israele e in un primo tempo, l’Ucraina. Però una certa efficacia le sanzioni di questo Tribunale ce l’hanno: nel senso che se un Capo di stato, poniamo Netanyahu, è ritenuto responsabile di questi crimini non può metter piede in nessuno dei 125 Paesi che vi aderiscono senza essere arrestato (anche se i cagasotto italiani, più americanisti degli americani, hanno detto, tramite Salvini, che se Netanyahu venisse in Italia “sarebbe il benvenuto” cosa che non può avvenire senza il consenso di Giorgia Meloni in contrasto con la sua sempre strombazzata “indipendenza nazionale”).

Nella sua sostanziale impotenza, poiché non ha un esercito, l’Onu ha perso anche la più modesta funzione di moral suasion. L’attuale segretario generale dell’Onu, il portoghese Antonio Guterres, ha chiesto più volte una maggiore ragionevolezza a Israele e all’esercito sionista che a Gaza e dintorni stanno facendo dei palestinesi carne di porco. Non si tratta solo dei 50 mila morti civili palestinesi, secondo Lancet 70 mila, un rapporto di cinquanta a uno rispetto ai 1300 civili israeliani uccisi da Hamas nell’ottobre 2023, ma del fatto che questa gente è stata ridotta alla fame e gli viene limitata la possibilità di curarsi perché uno degli obiettivi preferiti dell’Idf sono gli ospedali col pretesto che vi si nasconderebbero i guerriglieri di Hamas (non si contano i bambini morti per denutrizione, non si contano perché nessuno si è preso la briga di contarli). Naturalmente delle parole di Guterres Israele si è fatto un baffo. Anzi. Solo nell’anno 2024 sono stati uccisi in Palestina 178 “operatori umanitari” non solo delle Ong ma anche della Croce rossa internazionale e della Mezzaluna rossa. Ed è la prima volta che si spara sulla Croce rossa, eccesso che non era stato raggiunto nemmeno nella Seconda guerra mondiale dove i combattenti, nazisti compresi, rispettarono la neutralità di questa organizzazione che si occupa dei feriti di entrambe le parti.

La guerra all’Afghanistan talebano è stata forse l’unica a vedere concorde quasi tutta la maggioranza dei Paesi del mondo (dico “quasi” perché non vi parteciparono i Paesi latinoamericani, c’erano però americani, tedeschi, polacchi, albanesi, italiani cioè i Paesi occidentali, sull’onda dell’emozione causata dall’attacco alle Torri gemelle). Quando però ci si dovette render conto che i Talebani non c’entravano nulla con l’attacco alle Torri gemelle, l’Onu ritirò il suo avallo e l’operazione, a guida americana, prese il nome, vagamente irridente, di Enduring Freedom (“libertà duratura”). I civili afghani uccisi, civili cioè che non facevano parte delle forze combattenti talebane, sono stati, a seconda delle stime, dai 400 mila ai 700 mila, stime probabilmente in difetto perché agli occidentali non è mai fregato nulla degli afghani che, come si sa, non sono persone come tutte le altre. Quell’occupazione, durata vent’anni, finirà nella più umiliante delle sconfitte. Avrebbe potuto essere una lezione salutare perché dimostra che un popolo, se ha ideali per combattere, giusti o sbagliati che siano, è più forte del più forte e più vasto esercito del mondo.

Ma torniamo all’Onu. Che questa Organizzazione non potesse funzionare lo si poteva capire fin dall’inizio perché nel Consiglio di sicurezza siedono cinque Paesi che hanno diritto di veto (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina). In un famoso discorso all’Assemblea dell’Onu del 2008 Gheddafi denunciò questa sperequazione oltre a mettere seri dubbi sulla legittimità dell’occupazione occidentale in Afghanistan. E infatti per questo, anche se non solo per questo, verrà regolarmente fatto fuori nel 2011 nel più ignominioso dei modi, modi che avrebbero fatto orrore persino all’Isis (sodomizzato dai suoi antagonisti interni alla presenza delle truppe francesi). Quando Gheddafi era leader del Paese africano, la Libia era un Paese ordinato e sicuro, il rais si limitava ad avere una particolare attenzione per i componenti della sua tribù, i Warfalla e in prigione finivano pochissimi oppositori. Oggi basta un qualsiasi tagliagole libico, probabilmente legato all’Isis, Almasri, promosso dalle diplomazie e dalle opinioni pubbliche occidentali a “generale”, per far piombare in una grave crisi il governo italiano.

Io non credo ai Tribunali speciali per “crimini di guerra” o “crimini contro l’umanità” perché sono i tribunali dei vincitori, come furono, nell’immediato dopoguerra, i tribunali di Norimberga e di Tokyo che condannarono i generali nazisti e giapponesi e come ho scritto, a chiare lettere sull’Europeo in un articolo intitolato La legge dei vincitori (6.9.1986). Ma se questi tribunali avessero una vera consistenza dovrebbero essere impiccati al più alto pennone Barack Obama e Nicolas Sarkozy. Berlusconi no, perché nel frattempo è morto, anche se oggi si tenta di farne un santo insieme a Craxi e altri manigoldi della Prima Repubblica.

 

12 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano