Morire è facile. Lo hanno fatto tutti.
Chi teme troppo la morte pensa di essere immortale.
Si dice “ammazzare il tempo”. Purtroppo è il tempo che ammazza noi.
“Quanto tempo passa fra l’arrivo al Pronto soccorso e l’intervento del medico di guardia?” chiede la solerte cronista al primario. “Il tempo di morire”.
Secondo la medicina moderna dovremmo fare almeno sei controlli clinici all’anno. Eppure è così chiaro: è vivere che ci fa morire.
Legge matematica. Non fare mai un favore gratuito a un amico, non te lo perdonerà perché si sente in debito.
Date e vi sarà tolto.
Si dice, a volte, “lasciamoci andar al caso”. Ma, purtroppo, è il caso che non ci molla.
Quel che accade invecchiando non è tanto che si perdono alcune certezze sul mondo, ma che si perdono tutte le certezze su se stessi.
A Chronos, il Tempo padre di tutti gli Dei e degli uomini si aggiunge un semidio, il Caso.
Io sono un dubbioso dogmatico.
Il bello del senso di colpa è che la pena ricade regolarmente sulla testa degli altri.
I conservatori sono altrettanto stupidi dei progressisti, ma questi sono più pericolosi: perché si muovono.
Siamo una società individualista senza individui.
Se il comunismo è vittima del suo insuccesso, il capitalismo lo è del suo successo.
Oggi chi lavora non può diventare ricco: perde troppo tempo a lavorare.
Pudore: scomparso.
Non si può più nemmeno darsi ai vizi: li hanno tutti.
Mi rompono sommamente i coglioni quelli che mi rimproverano di essere ancora vivo.
Il vero masochista non è chi prova piacere nel dolore, ma dolore nel piacere.
Per Oriana Fallaci. L’entusiasmo non è un argomento.
L’uomo più felice è il cretino che non sa di essere cretino. Chi si rende conto d’essere un cretino non è un cretino.
Il solo uomo veramente libero è il morto.
L’uomo contemporaneo, sempre proiettato fuori di sé, non sa vivere che nell’opinione altrui.
Il dramma dell’uomo contemporaneo è constatare che la razionalità ha fallito, senza, per questo, poter tornare all’irrazionale.
Pubblicità: l’Ottocento ha creato capolavori perché il Novecento li sputtanasse.
Dio. L’unica scusante di Dio è di non esistere.
Dio. Se c’è, si è nascosto molto bene.
La verità non è davanti, ma dietro di noi.
Sessantotto. La via più diretta per arrivare alla Direzione del Corriere.
L’intelligenza è un handicap. La cultura è un handicap. La sensibilità è un handicap.
La Storia è una fake. Che cos’è una fake? E chi lo sa.
Il dotto, l’erudito, non ha nulla a che fare con la cultura. E infatti Nietzsche, che viveva solitario a Sils, preferiva parlare col macellaio, col postino, col farmacista, aborriva i docenti universitari, soprattutto se tedeschi.
Per giornalisti. La scrittura è musica, cosa interdetta a Kant, Hegel & Company.
Lo studio? Non serve a nulla e ancor meno serve la ricerca.
Innovazione. Parola magica che dovrebbe risolvere tutto.
Chef. Troppo tardi si capisce che la ricetta della nonna era meglio.
Nulla si crea e tutto si distrugge.
Siamo l’incubo di qualcuno che un giorno si sveglierà.
Il futuro non è davanti ma dietro di noi.
Ai tempi mostri.
Muore mille volte… chi ha paura della morte.
17 gennaio, il Fatto Quotidiano
Aldo Cazzullo in una sua risposta sul Corriere (24.12) a un lettore scrive che oggi le disuguaglianze sono tornate quelle dell’Ancien Régime. E’ un dato di fatto che le disuguaglianze sia in una singola nazione sia a livello internazionale siano progredite in parallelo col progresso portato dalla Rivoluzione industriale. Alexis de Tocqueville che pure è uno dei padri nobili della democrazia nel “Saggio sulla povertà” (1830) nota, sbalordendosene, che nell’Inghilterra del suo tempo, il Paese più opulento d’Europa, nel pieno del suo sforzo industriale, cioè della sua crescita, i poveri erano sei volte di più che in Spagna e Portogallo che erano appena all’inizio di quel processo, mentre nei Paesi non ancora toccati dall’industrializzazione, quindi dalla crescita, la povertà non esisteva. Secondo i dati Istat del 2023 in Italia sono in condizione di povertà assoluta quasi 5,7 milioni di individui, cioè il 9,7 per cento della popolazione residente. Nell’Ancien Régime, per quanto questo a noi possa sembrare incredibile, la povertà non esisteva. Esistevano i mendichi che rappresentavano l’1 per cento della popolazione quindi il rapporto è di uno a dieci. Ma in realtà era mendico chi voleva esserlo, un po’ come i clochard volontari di oggi. Mi ricordo un episodio che lì per lì sembra divertente e bizzarro ma in realtà è estremamente significativo. Anni fa a Torino, d’inverno, una donna si buttò nel Po per suicidarsi. Un clochard si buttò in acqua e la salvò. Naturalmente sul posto si gettarono tutte le televisioni locali e nazionali e, come premio, un imprenditore della zona gli promise un impiego nella sua azienda. “Fossi matto” rispose quello “io torno a vivere come ho sempre vissuto, da uomo libero”.
Comunque si riteneva in quelle società che sia il mendico che il “matto” avessero, per canali misteriosi, un particolare rapporto con Dio. Era un modo intelligente per inglobare questi individui nella società, per non farli sentire esclusi, ma parte di essa.
Il Signore viveva nei suoi Castelli, tra l’altro insalubri, il contadino nella campagna. Vivevano peraltro sullo stesso spazio agricolo, a contatto di gomito e quindi fra di loro s’intrecciavano rapporti che non erano solo di puro calcolo ma anche sentimentali ed emotivi. Il Signore doveva stare attento a non comportarsi troppo da stronzo perché una rivolta era sempre possibile. Ma in generale i rapporti tra queste due diverse realtà sociali furono buoni tanto è vero che tutte le rivolte vandeane videro aristocratici e contadini uniti nella lotta contro la nascente borghesia. Al Signore non interessava guadagnare sempre di più sempre di più, alla Elon Musk che vuole raggiungere un patrimonio di tre trilioni di dollari. Tutto ciò che entrava nei suoi forzieri doveva essere speso. L’investimento, che è tipico della mentalità borghese, gli era estraneo. Con l’avvento della Rivoluzione francese, dell’Illuminismo e della borghesia un affittuario si lamenta col nuovo padrone borghese perché ha aumentato di molto il canone. “Devi capire” risponde quello “che il nuovo sistema non è fatto per agevolare te, l’affittuario, ma me, il proprietario”.
Scrive Flaubert: “Nessun potere è legittimo, nonostante i loro sempiterni princìpi. Ma, siccome principio significa origine, bisogna riferirsi sempre a un inizio. Così il principio del nostro è la sovranità nazionale, intesa in forma parlamentare… Ma in che cosa mai la sovranità nazionale sarebbe più sacra del diritto divino? Sono finzioni, l’una e l’altra”. Il potere non deve essere legittimo ma, come nota Max Weber, “deve essere creduto” legittimo. E nelle monarchie feudali questo avveniva. Nell’Antico regime e la Rivoluzione (1856) Alexis de Tocqueville scrive: “Bisogna guardarsi bene dal valutare la bassezza degli uomini dal grado della loro sottomissione al potere sovrano: sarebbe servirsi di una falsa misura. Per quanto gli uomini dell’antico regime fossero sottomessi alla volontà di un Re, un genere di obbedienza era loro sconosciuta: non sapevano che cosa fosse piegarsi a un potere illegittimo e contestato, poco rispettato... Questa forma di schiavitù degradante fu loro sempre sconosciuta”.
Infine. Come abbiamo detto, feudatario e contadino avevano stretti legami perché vivevano gomito a gomito sullo stesso territorio. Essendo a stretto contatto l’uno conosceva l’altro. Poteva avvicinarlo, poteva parlargli. Oggi ognuno di noi è più lontano da una grande rockstar o da un uomo politico importante protetto da plotoni di polizia e di guardie del corpo che spesso sono eserciti all’interno dell’Esercito di quanto il contadino fosse lontano dal suo feudatario.
14 gennaio 2025, il Fatto Quotidiano
Negli Stati Uniti il capo esecutivo della Sanità, Vivek Murthy, ha proposto che sull’etichette del vino e più in generale degli alcolici sia messo l’avviso che sono cancerogeni. Se così fosse io dovrei essere morto di tumore più o meno all’età di venticinque anni.
Se questa proposta dovesse essere accolta anche in Italia per il nostro Paese sarebbe un disastro, economico e sociale. Economico perché sulla vite vivono 255 mila aziende agricole. Sociale perché pur essendo il consumo del vino in ribasso – i giovani gli preferiscono la birra e le ragazze tanto per darsi un tono gli spumanti, Champagne compreso, che vini non sono ma risciacquature in bocca – è pur sempre una parte importante della nostra cultura e contribuisce a lenire molte malinconie della vecchiaia.
“Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
Quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
Li troverai là col tempo che fa estate e inverno
A stratracannare, a stramaledir le donne, il tempo ed il governo
Loro cercan là la felicità dentro a un bicchiere
Per dimenticare d'esser stati presi per il sedere” (La città vecchia, De André).
E voi potete immaginare un inglese e soprattutto uno scozzese che rinunci allo Scotch? Oggi un commentatore di calcio come Nicolò Carosio, che di schemi non capiva nulla ma sapeva dare l’emozione di una partita, che alla fine di una match vinto con la Scozia disse “E ora andiamo a berci un buon whiskaccio!” sarebbe arrestato per induzione all’alcolismo.
Com’erano belli i tempi della swinging London quando si poteva bere solo nei pub ed è noto che ogni proibizionismo genera il desiderio, la voglia matta, di infrangerlo. Per noi ragazzi, non mi ricordo sotto quale età, il whiskey era proibito in assoluto e allora cosa facevamo? Negli ostelli nascondevamo la bottiglia sotto il letto. Adesso in Gran Bretagna il governo vorrebbe inasprire le misure anti-alcoliche riducendo gli orari dei pub.
In Italia, di recente, sono state aumentate le multe e le sanzioni per chi venga trovato alla guida in stato di ebbrezza. Se il tasso alcolemico è compreso tra 0,8 e 1,5 grammi per litro, si è puniti con la doppia sanzione, detentiva e pecuniaria (arresto fino a 6 mesi e ammenda da 800 a 3.200 euro), con sospensione della patente da 6 mesi a un anno. Se il tasso alcolemico è superiore a 1,5 grammi per litro, c’è l’arresto da 6 mesi a un anno e ammenda da 1.500 a 6.000 euro e sospensione della patente da uno a due anni. Qui ciò che si vuole tutelare non è tanto la salute del cittadino ma prevenire gli incidenti. Ma anche qui è tutto soggettivo e discutibile. C’è chi l’alcool lo tiene benissimo e chi non lo tiene affatto. Personalmente a cena non mi sono mai negato le più abbondanti libagioni, e non ho mai avuto incidenti. Alla mia fidanzata, mingherlina, proibirei di guidare anche se a cena ha bevuto solo acqua. Le proibirei invece di curiosar fuori proprio nel momento in cui si è al bivio decisivo.
A Milano il sindaco Sala, come se non avesse altro cui pensare, ha ribadito il divieto di fumare all’aperto se non a distanza di almeno dieci metri da un altro umano. A Milano, città di un pigia pigia infernale, trovare un umano a meno di dieci metri è più difficile che trovare un taxi che è la cosa di cui il sindaco dovrebbe davvero occuparsi. E nel casino normativo generale non so se vale ancora la norma, sempre stabilita da Sala, che in un parco è proibito fumare se c’è una donna incinta. E come fai a sapere se è incinta? Le vai a tastare il ventre? Ottimo pretesto per un aggancio, solo che prima si usavano i cani ed era meno intrusivo.
E in casa propria si può ancora fumare? La cosa è dubbia perché viste le sottili pareti dei nostri edifici il vicino potrebbe sentirsene disturbato. Verrà un tempo, ne sono sicuro, in cui più o meno alle cinque del mattino, l’ora degli arresti e delle perquisizioni, entreranno in casa tua due pulotti non per cercar armi ma pacchetti di sigarette.
Ci sono poi tutti i divieti, impliciti ed espliciti, della cancel culture. Della proibizione di chiamare il diverso diverso. Anni fa frequentavo un bar in cui andava uno zoppetto che gli avventori chiamavano “Mennea”. Lì per lì mi parve una cosa crudele, ma posto che le cose erano state messe in chiaro lo “zoppetto” si integrò benissimo nel gruppo: nessuno pretendeva che facesse i 200 metri in 19’’72.
Ci sono poi tutti i limiti del linguaggio. Un negro non può più essere chiamato “negro”, come i negri si son sempre chiamati fra di loro, ma “nero”. Di recente è successo un putiferio in uno stadio di calcio perché l’assistente di un arbitro dovendo indicare chi aveva commesso l’infrazione in una panchina dove sedevano tutti giocatori bianchi tranne uno nero, disse “è stato il nero” ma senza nessun intento denigratorio, era solo una questione pratica. Io ho viaggiato molto in Africa e mi sono trovato sempre in grande armonia con i negri, anche nel Sudafrica governato dai bianchi. Ma detesto i calciatori negri che ne approfittano per fare le vittime. Hanno tirato fuori a porta vuota e non puoi fare nemmeno un “buuu”. Adesso negli stadi esiste anche la “discriminazione territoriale”. Tu, se tifi Verona, non puoi gridare “forza Vesuvio!” e gli altri rispondere “Giulietta era una zoccola”. Sono modi, del tutto innocenti, di scaricare l’aggressività che è in noi ed evitare così quelli che Ceronetti ha chiamato “i delitti delle villette a schiera”.
La cancel culture, termine orrendo, ha investito anche la letteratura e in particolare i fumetti (perché prima di mettere le mani su Dante, un razzista ecclesiale, ci si pensa un po’). Per esempio è ancora lecito un fumetto titolato “Biancaneve e i sette nani”? Non è forse una discriminazione nei confronti dei nani per una colpa che non è loro: essere nani? A proposito dei nani mi ricordo una storia divertente. In Australia esisteva uno sport che consisteva nel “lancio dei nani”. Cioè si imbragava un nano e vinceva chi lo lanciava più lontano. Naturalmente intervennero Amnesty International e tutte le “anime belle” affermando che era un’indecenza. Ma i primi a opporsi furono proprio i nani, perché perdevano la loro unica fonte di guadagno.
Adesso gli infiniti verboten da cui è attraversata la nostra società hanno anche invaso il sacro recinto della satira. A una giornalista americana del Washington Post, Ann Telnaes, il giornale ha censurato una vignetta su Jeff Bezos, editore del prestigioso quotidiano, prostrato ai piedi di Trump con sacchi di dollari in mano. Osho, un modesto vignettista italiano, ha avvalorato la censura del Washington perché la vignetta “era un attacco preciso e non ironico ad alcuni tycoon americani”. Ah beh, adesso non si può più nemmeno ironizzare sui tycoon che più dell’ironia meriterebbero la galera.
Nostalgia dei tempi in cui Giorgio Forattini vignettava Giulio Andreotti perennemente gobbo (in realtà Andreotti, alto 1.83, non era gobbo ma curvo) e il “divo Giulio” non solo non se ne dispiaceva ma si faceva mandare da Forattini le vignette che esponeva poi in casa sua. Altri vignettisti. Altri politici. Altri tempi.
11 gennaio 2025, il Fatto Quotidiano