Lunedi' pomeriggio ho acceso la Tv alle tre su La7 perchè era la prima a fare una trasmissione sul secondo turno delle amministrative. Per cinquanta minuti Enrico Mentana si è destreggiato a parlare di tutto tranne che del dato che interessava di più, l'affluenza alle urne, a quell'ora già disponibile al Viminale. Spazientito ho girato sulla Rai che peraltro questa volta, a differenza di precedenti, interminabili, maratone, ha dato scarso spazio al turno elettorale (e anche questo è un segnale). Finalmente al Tg1 delle otto abbiamo saputo che il 51,5% degli italiani non era andato a votare. Un meno 25,5% rispetto alle recenti politiche. Un risultato che sarebbe stato ancor più impressionante se 5Stelle non fosse stato presente in tre ballottaggi, sia pur in piccoli comuni, e se alcuni grillini, cioè elettori al limite dell'astensione, non si fossero recati, per disperazione, alle urne turandosi montellianamente il naso. A cio' vanno aggiunte le schede bianche e nulle, che il Viminale prudentemente non dà o nasconde fra le righe, ma che storicamente oscillano fra il milione e il milione e mezzo. Ancora più clamorosi sono i dati di Roma dove ha votato il 44,9% degli aventi diritto. Clamorosi non solo perchè l'affluenza è stata particolarmente infima, ma perchè a Roma sono concentrati gli apparati dei partiti che sono obbligati a votare pena la perdita del posto di lavoro. Insomma molto più di un italiano su due ha disertato le urne (o le ha riempite di bianche e di insulti) ma anche parecchi di quelli che vi sono andati lo hanno fatto di malavoglia. Questo pone un problema di legittimità democratica. Che legittimità, che credibilità puo' avere un sindaco che puo' contare su meno della metà della metà del consenso dei suoi cittadini? E il discorso vale, a maggior ragione, per le elezioni politiche, dove i partiti percentualmente conservano i consensi, e quindi paiono ancora vivi, ma in termini assoluti non fanno che perdere voti. Bisognerebbe mettere un quorum, come nei referendum. Altrimenti, andando avanti di questo passo, potremmo trovarci di fronte al paradosso che un 10% degli italiani governa su un 90% che gli è ostile.
Naturalmente i politici e gli opinionisti al loro seguito, oltre a dire frasi scontate tipo «dobbiamo riflettere su questo fenomeno», trovano mille giustificazioni per questo tracollo del consenso. La più utilizzata è che negli altri Paesi democratici l'affluenza è ancora più bassa. Ma noi abbiamo una storia diversa, di passione politica. Fino al 1979 andava a votare il 90%. Da allora c'è stata prima una lenta poi una sempre più rapida e innarestabile discesa. Inoltre sono diverse le ragioni dell'astensione. In Svizzera, in Germania, in Danimarca, in Svezia i cittadini che non vanno a votare lo fanno perchè hanno fiducia nelle proprie classi dirigenti, pensano che chiunque governi curerà comunque gli interessi del loro Paese. La nostra invece è una crisi di sfiducia. Nei confronti del sistema, del regime dei partiti e, in definitiva, della democrazia rappresentativa.
Infine c'è una questione più profonda che non riguarda solo l'Italia ma tutte le democrazie occidentali. Destra e sinistra, in cui si dividono i partiti, sono categorie politiche vecchie di due secoli e mezzo che non sono più in grado di comprendere le vere esigenze dell'uomo contemporaneo. Che, per quanto cio' possa suonar strano, particolarmente oggi, non sono economiche ma esistenziali. E quindi destra e sinistra sono destinate a perire, a parer mio abbastanza alla svelta, con quel modello di sviluppo economicista, nato con la Rivoluzione industriale, in cui sono cresciute e si sono affermate.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 14 giugno 2013