0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Che futuro può avere un Paese dove i controllori sono corrotti quanto e più dei controllati? Il ministro dell’Economia Padoan si è affrettato a esprimere la sua “totale fiducia nella Guardia di Finanza e nei suoi membri” e Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità anticorruzione, recentemente nominato da Renzi, ha affermato: “Una parte della Nazione è sana. E’ stata la stessa Guardia di Finanza che ha proceduto nei confronti di altri esponenti del corpo”. Peccato che i finanzieri non abbiano proceduto in modo autonomo ma su ordine dei magistrati, quei magistrati cui adesso il Parlamento vorrebbe tagliare definitivamente le unghie imponendo loro la responsabilità civile diretta (Il che vuol dire paralizzarli perché nessun giudice oserà più emettere un provvedimento se per un suo errore può vedere azzerato, economicamente, il lavoro di una vita. Cosa diversa è se un magistrato, nella sua attività, commette un reato, allora deve essere denunciato al Tribunale competente e, se riconosciuto colpevole, andare in gattabuia come qualsiasi altro cittadino. Ma questa possibilità esiste già, ovviamente, nel nostro ordinamento). Nulla vieta di pensare che quegli stessi finanzieri che hanno arrestato i loro colleghi vengano, un domani, a loro volta arrestati per reati consimili. La Gdf “è sana”. Non diciamo sciocchezze. Sono decenni che grandi e medi imprenditori pagano i finanzieri perché chiudano un occhio sulle loro evasioni fiscali. Berlusconi docet. Ma non è stato certamente l’unico, solo il più spudorato. Raffaele Cantone mi pare una persona perbene, ma dovrà servirsi di 26 controllori e chi ci assicura che fra questi non ci siano dei corrotti o dei corruttibili? ‘Qui custodiet custodes’? Anni fa si scoprì che il capo della Guardia di Finanza, un certo Del Giudice (nomen non omen), era anche il capo dei contrabbandieri. Questo è un Paese marcio fino al midollo, il più pulito c’ha la rogna.

Due cose giuste comunque Cantone le ha dette. Nella vecchia Tangentopoli gli imprenditori e a volte anche i politici si presentavano spontaneamente ai magistrati e confessavano, qualcuno si vergognava persino. Oggi questo non avviene. Ha detto poi Cantone che per corrotti e corruttori “il rischio vale la candela” perché la probabilità di finire in carcere è risibile rispetto ai guadagni milionari. E infatti, nella Tangentopoli d’antan e in quelle successive, a parte qualche breve periodo di detenzione preventiva nessuno ha fatto veramente il carcere (A parte Sergio Cusani, cui la lezione è servita e oggi è un uomo nuovo. Quel Cusani che nel breve periodo di libertà, fra carcerazione preventiva e condanna, veniva quasi ogni giorno a casa mia rannicchiato sul divano, alto com’è, con le ginocchia quasi sul mento, a liberarsi e confessarsi). Oggi si fa le meraviglie perché la corruzione è peggio che ai tempi di Tangentopoli. E come poteva essere diversamente? Era passato pochissimo tempo da Mani Pulite che la classe politica, ripresasi dallo choc, e i media sempre compiacenti, hanno trasformato i magistrati nei veri colpevoli e i ladri nelle vittime e spesso in giudici dei loro giudici. Che cosa si poteva ricavare da questa pedagogia se non la garanzia di un’impunità perpetua per i mascalzoni? E così sarà anche questa volta. C’è già chi, sia pur con cautela, prepara il terreno. Era appena scoppiato lo scandalo Expo che l’insolvente Sallusti scriveva che i giudici agivano per avere ‘i titoloni’ sui giornali (Il Giornale, 9/5/2014). Tranquilli, i felloni di oggi ve li ritroverete, bel belli, insieme a delle ‘new entry’, fra dieci anni. Ma la colpa è nostra. All’epoca di Tangentopoli ci furono almeno delle manifestazioni di piazza e di rabbia. Oggi siamo inerti, mitridatizzati. Mentre ci vorrebbe ben altro che le cesoie evocate da Erri De Luca.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2014