Mentre la Nazionale italiana perde la faccia (tranne Buffon, ma Buffon, come il suo grande predecessore Zoff, è friulano, appartiene a un'altra razza, Gemona insegna), i nostri uomini politici, che la faccia non l'hanno mai avuta, si azzuffano sulla questione se i componenti del nuovo Senato debbano godere dell'immunità parlamentare, come i loro colleghi deputati, pur non essendo eletti dal popolo.
La questione è molto semplice: l'immunità va tolta a tutti, senatori e deputati, tranne che per «le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni» come recita l'articolo 68 della Costituzione. I nostri padri fondatori garantirono una serie di guarentigie, tra cui l'immunità, ai parlamentari in un'epoca storica completamente diversa, culturalmente e moralmente, dall'attuale. Esisteva allora un'etica condivisa, di tradizione ottocentesca, per cui si riteneva che l'onestà fosse un valore per tutti, classe politica, borghesia, proletariato, mondo contadino. Si giudicò quindi opportuno tutelare i membri del Parlamento, massima espressione della volontà popolare, da qualche iniziativa avventata della magistratura requirente. Il solo sospetto era considerato già di per sè così infamante da poter distruggere una carriera politica. Un ministro della Destra storica si suicidò perché accusato di essersi portato a casa dall'ufficio un po' di cancelleria. Siamo ai primi del Novecento. Ma la moralità personale degli uomini politici del primo dopoguerra, selezionati dal conflitto, dei De Gasperi, degli Scelba, degli Andreotti, dei Saragat, dei Nenni, dei Togliatti, degli Almirante e dei loro seguaci era fuori discussione. Pietro Nenni, tanto per fare un esempio, finì la sua lunghissima carriera politica avendone come ricavato una modesta villetta a Formia. Da allora le cose in materia di moralità pubblica sono andate radicalmente cambiando in un crescendo di marciume morale che è sotto gli occhi di tutti. Oggi un ex ministro degli Interni ritiene normale che una metà di una sua casa sesquipedale gli sia stata pagata da un imprenditore, «a sua insaputa» (quel povero ministro novecentesco si rivolterà nella tomba). Dal 1948 fino al 'caso Genovese' le Camere non hanno mai concesso l'autorizzazione a procedere a un arresto con la sola eccezione per un missino che durante una manifestazione aveva sparato e ucciso. L'immunità si era trasformata in impunità. E fu proprio questo senso di impunità assoluta che convinse i partiti che potevano fare tutto quello che volevano, taglieggiare gli imprenditori, e indirettamente i cittadini, né più né meno come fa la mafia. Nel 1993, sull'onda dell'indignazione per la corruzione emersa da Tangentopoli, l'art.68 fu modificato concedendo alla Magistratura di avviare indagini su un parlamentare senza dover chiedere l'autorizzazione delle Camere. Ma questa autorizzazione resta obbligatoria per procedere ad arresti, perquisizioni, intercettazioni. Particolarmente grottesca è l'autorizzazione per le perquisizioni e le intercettazioni telefoniche. E' chiaro che il parlamentare, avvertito, farà sparire dalla sua casa, dai suoi uffici, dalle sue pertinenze ogni documento compromettente e si guarderà bene dall'usare il telefono.
Intanto l'ex parlamentare Dc, Gianstefano Frigerio, in carcere a Milano per l'Expo, chiede a varie cariche dello Stato di essere interrogato da un Pubblico ministero a lui gradito. Cioè non è più il Capo dell'ufficio a scegliere il Pm che deve interrogare un arrestato, ma l'arrestato a scegliersi il Pm. Viviamo in un mondo capovolto. Dove la figuraccia rimediata dalla Nazionale, cui i giornali hanno dato tanto spazio, perde ogni importanza.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 27 giugno 2014