Perché Fini mi piace così tanto? Interrogativo al quale ho sempre dato la risposta più ovvia – e qui, forse, sta il tributo più importante al Fini giornalista -: per quello che scrive. Per la sua capacità di non essere mai banale, frutto anche della scelta di raccontare storie, più che perdersi nella politica politicante. E per quell'anticonformismo che lo ha reso l'unico vero intellettuale tra i giornalisti italiani. E la lettura di Una vita ci consegna un Massimo Fini in grandissima forma, forte di tutto il suo antimodernismo -straordinarie le pagine nelle quali canta la nostalgia per la Milano della sua giovinezza – e della vis polemica che per decenni -per quanto fosse detestato tanto dalla sinistra, quanto dalla destra, altro grande merito – lo ha portato sulle prime pagine dei più importanti giornali italiani.
La storia di Massimo Fini è quindi anche uno straordinario spaccato del mondo dei media italiani: dire che i più grandi nomi del giornalismo italiano non ne escano benissimo – per quanto Fini non usi mai toni meno che rispettosi – è puro eufemismo. L'antimodernismo di Fini finisce per generare anche il nostro. L'impressione, infatti, è che il giornalismo italiano nel quale Massimo Fini ha comunque potuto vivere la sua straordinaria carriera, non esista più. Intellettuali del suo livello, nel mondo delle notizie twitta e fuggi, forse non ce ne sono più. Ma sono venute meno anche le condizioni perché questi possano esprimersi come è stato possibile a Fini.
Maurizio Di Giangiacomo
Alto Adige, 20 aprile 2015