“Noi siamo le vergini dai candidi manti/sfondate didietro ma sane davanti/Nell’arte sovrana di fare i pompini battiamo le troie di tutti i casini”. Le ‘vergini dai candidi manti’ sono in questo caso i governi, i politici, i politologi, i geopolitici, gli intellettuali, i giornali, gli opinionisti, i commentatori, i giornalisti del mondo cosiddetto democratico che si accorgono solo oggi, colpiti da improvvisa folgorazione, di chi è il generale Abd al-Fattah al-Sisi e solo perché in Egitto è stato torturato e ucciso un giovane occidentale, sorte toccata ad almeno 1.500 oppositori, quasi tutti Fratelli Musulmani, nei tre anni di regime del raìs del Cairo. Sono gli eterni scopritori dell’acqua calda, quelli che pensano sempre che il mondo sia nato con loro. Naturalmente gli ‘scopritori dell’acqua calda’ sono troppo imbarazzati per non doverla in qualche modo intiepidire. Così mentre si ergono, petto in fuori, a inflessibili difensori dei ‘diritti umani’ e democratici si lasciano andare a disinvolte amnesie, dimenticanze, verità scritte a metà.
Intanto non ci voleva un particolare acume democratico per definire il colpo di Stato di Al Sisi un colpo di Stato. Visto che era stato rovesciato con la violenza il presidente eletto, Mohamed Morsi, nelle prime consultazioni libere di quel Paese dopo decenni di dittatura. Io lo scrissi a ridosso dei fatti nel novembre del 2013 (Egitto, l’assurdo processo a Morsi, Il Fatto 9 novembre 2013). Ma su questo dettaglio si preferì sorvolare. Ancora oggi c’è chi parla di “seconda dittatura dopo quella di Mubarak” sottintendendovi quindi anche il governo legittimo di Morsi. Che cosa aveva fatto costui per meritarsi di essere rovesciato da un golpe militare perpetrato, paradosso dei paradossi, da quello che era stato il braccio armato del dittatore Mubarak spazzato via dalle rivolte popolari di piazza Tahrir dell’inverno 2011? Aveva messo in galera gli oppositori, li aveva torturati, li aveva uccisi, aveva organizzato la repressione, instaurato la censura, proibito le manifestazioni (cioè tutte le cose che farà Al Sisi una volta insediatosi al potere) imposto la sharia? Niente di tutto questo. L’accusa al governo Morsi, in carica solo da un anno e mezzo, era di essere ‘inefficiente’ (se un’accusa del genere bastasse per legittimare un colpo di Stato, in Italia dovremmo farne uno all’anno). Ma a parte il fatto che era difficile pensare che in poco più di un anno il nuovo governo democratico potesse riparare i guasti di decenni di dittatura, è ovvio che chi in quegli stessi decenni era stato all’opposizione avesse bisogno di farsi un po’ di esperienza di governo. Anche questo, pudicamente, si sottace insieme a un altro fatto determinante. Come mai i Fratelli Musulmani avevano vinto le elezioni del 24 giugno 2012? Perché per trent’anni erano stati i soli, veri, oppositori del regime di Mubarak, pagando prezzi altissimi, con carcerazioni, torture, assassinii, desaparecidos o aparecidos cadaveri come quello di Giulio Regeni (mentre i cosiddetti ‘laici’, che tanto piacciono all’Occidente, se ne stavano al coperto). Per questo la popolazione egiziana li aveva premiati. Anche perché si sapeva che i Fratelli erano dei musulmani moderati e non dei fanatici integralisti (parecchi di loro lo diventeranno dopo andando a ingrossare le file dell’Isis).
Si è ripetuto in Egitto quanto avvenne in Algeria nel 1991 quando nelle prime elezioni libere di quel Paese, dopo trent’anni di una dittatura militare sanguinaria, il Fis (Fronte Islamico di Salvezza) sostanzialmente moderato, le vinse a grande maggioranza. Allora i generali algerini, con l’appoggio dell’intero Occidente, le annullarono con la motivazione che il Fis avrebbe instaurato una dittatura. In nome di una dittatura del tutto ipotetica si ribadiva quella precedente. E fu l’inizio di una guerra civile durata vent’anni. Insomma la lezione degli occidentali, predicatori di democrazia, è questa: la democrazia vale quando le elezioni le vinciamo noi o i nostri amici, altrimenti non vale.
Ciò che stava accadendo nell’Egitto del molto rispettabile e rispettato generale Al Sisi l’ho scritto in un articolo per Il Fatto del 31 gennaio 2015, dall’eloquente titolo: “Al Sisi, il criminale che piace all’Occidente”. Ora che anche i pettoruti democratici ‘last minute’ lo hanno scoperto non starò a ripetere quei dati, mi limiterò ad aggiornarli. I 6.000 prigionieri politici di allora sono arrivati nel frattempo 60 mila. Ma sono destinati a diventare ben di più visto che Al Sisi sta facendo costruire sedici carceri speciali.
Trovo infine oltremodo provinciale gettare la croce addosso a Matteo Renzi per certe sue imprudenti dichiarazioni ed esibizioni, che avevano, se non altro, l’obbiettivo di tutelare alcuni nostri interessi nazionali. Certo la politica estera non si fa con lo stile di Renzi o di Berlusconi, ma con quello di Andreotti che, legami con la mafia o meno (ma in Italia li hanno avuti tutti, persino l’integerrimo La Malfa, quello vero, Ugo) è stato l’ultimo nostro uomo di Stato. Il fatto è che l’intero Occidente, e non solo l’irrilevante Renzi, ha appoggiato e continua ad appoggiare il criminale Al Sisi. Che del resto è stato messo dove ora sta dagli americani che hanno fomentato una molecolare protesta di piazza contro i Fratelli Musulmani, per rovesciarli, e che da decenni, dai tempi di Sadat (l’ultimo capo di Stato egiziano a essere una persona onesta e perbene, insignito del Premio Nobel per la Pace insieme al terrorista Begin che nulla aveva fatto per meritarselo) foraggiano e armano l’esercito egiziano di cui Al Sisi era a capo ai tempi di Mubarak. Al Sisi serve all’Occidente, come oggi gli servono i pasdaran dell’Iran, che per più di trent’anni, senza alcuna ragione plausibile, è stato inserito nel famoso ‘Asse del Male’, e i peshmerga curdi che, tramite Saddam Hussein –quando ci serviva- e la Turchia abbiamo contribuito a massacrare per altrettanti decenni, per contrastare il fenomeno Isis che noi stessi abbiamo creato.
Di fronte a queste ripugnanti ipocrisie della ‘cultura superiore’, che si perpetuano da due secoli da quando risuonarono le sacre parole della Rivoluzione francese, libertè, legalitè, fraternitè, dando inizio nell’Ottocento al colonialismo sistematico, militare, politico, economico, uno comincia a chiedersi, come Grillo ma per tutt’altri motivi: io da che parte sto?
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2016