Adesso si scopre che in Kosovo (come in Bosnia e in Albania) c’è una forte presenza jihadista. Ma guarda, chi avrebbe mai potuto immaginarselo? Come sempre, come per l’Afghanistan, per la Somalia, per la Libia, per l’Egitto, si dimentica il pregresso, lo si sottace pudicamente o, nella migliore delle ipotesi, vi si sorvola.
Chi nel 1999, senza il consenso dell’Onu, anzi contro la sua volontà, aggredì la Serbia ortodossa guidata da Slobodan Milosevic? Gli americani. Che c’entravano gli americani? Niente. Si trattava di una questione interna allo Stato serbo, dove si trovavano a confronto due ragioni: quella dei kosovari albanesi che nel corso dei decenni precedenti erano diventati maggioranza e avevano creato un movimento indipendentista (peraltro foraggiato e armato dagli Usa e che, come ogni resistenza, non disdegnava l’uso del terrorismo) e quella della Serbia a mantenere l’integrità dei propri confini e un territorio che era storicamente suo da secoli. Oltretutto il Kosovo, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389, era considerato ‘la culla della Patria serba’ (motivazione, questa, irrisa sulla Repubblica da Barbara Spinelli che nello stesso tempo sosteneva il diritto di Israele a stare dove sta non per la buona e sacrosanta ragione che i suoi abitanti hanno fatto il miracolo di creare dal deserto, in pochi decenni, uno Stato moderno, ma per diritti biblici di tremila anni fa). Inoltre una terra non appartiene solo a chi la abita in quel momento ma è anche frutto delle generazioni che l’hanno vissuta e lavorata in precedenza facendone ciò che è. Era quindi una questione che indipendentisti kosovari e Serbia avrebbero dovuto risolversi fra loro. Che c’entravano gli Stati Uniti che stanno a diecimila chilometri di distanza (il democratico Bill Clinton per spiegare agli americani dove mai fosse questo misterioso Kosovo dovette srotolare una carta geografica –le slide non usavano ancora- e, come una maestrina, indicarlo con una bacchetta)? Ma siccome gli Usa hanno interessi geopolitici dappertutto, anche sul più sperduto atollo, convocarono, sotto la loro guida, una Conferenza di Pace a Rambouillet. Ma le condizioni poste alla Serbia (molto invisa anche perché era rimasto l’ultimo Paese paracomunista in Europa) erano tali che Belgrado non avrebbe dovuto rinunciare solo alla sovranità sul Kosovo ma anche su se stessa. E i serbi, già defraudati della vittoria conquistata sul campo di battaglia in Bosnia (perché, sul terreno, sono i migliori combattenti del mondo e si deve alla loro resistenza alla Wermacht quel ritardo di tre mesi che fu fatale ad Hitler perché ritardò il suo attacco all’Unione Sovietica e così le truppe di Von Paulus si scontrarono col Generale Inverno che aveva già sconfitto Napoleone – questo merito storico bisognerebbe riconoscerglielo, qualche volta) dissero di no. Allora gli americani, con alcuni servi fedeli fra cui l’Italia (gli aerei partivano da Aviano), violando il principio di diritto internazionale, fino ad allora mai messo in discussione della non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano (e con questo precedente è ora difficile bacchettare la Russia perché si è intromessa in Ucraina a difesa degli indipendentisti russi di Crimea e di altre zone russofone) bombardarono per 72 giorni una grande e colta capitale europea come Belgrado facendo 5500 morti fra cui molti di quegli albanesi che pretendevano di difendere. E poiché da sempre bombardano a ‘chi cojo cojo’ colpirono anche l’ambasciata cinese. Princìpi a parte in tal modo abbiamo finito per favorire la componente islamica dei Balcani, quegli islamici che oggi provocano le isterie Fallaci-style.
Gli americani però almeno un piano ce l’avevano: costituire una striscia di musulmanesimo moderato (Albania + Bosnia + Kosovo) in appoggio a quella che allora (oggi molto meno) era la loro grande alleata nella regione, la Turchia, che per conformazione fisica è una gigantesca portaerei naturale e per posizione geografica nodo strategicamente nevralgico a cavallo fra Medio Oriente ed Europa. Ma sbagliarono anche quella volta i loro calcoli perché oggi i musulmani dei Balcani sono assai meno moderati, molti stingono nello jihadismo quando non vi partecipano direttamente e la Turchia sta via via abbandonando l’assetto laico datogli da Ataturk a favore di un regime che se non è ancora apertamente confessionale poco ci manca.
Ma particolarmente stolida fu la partecipazione dell’Italia a quell’aggressione. Perché noi con i serbi non abbiamo mai avuto alcun contenzioso (lo abbiamo avuto semmai con i croati che fascisti erano e fascisti sono rimasti). Abbiamo anzi un legame storico che risale ai primi del Novecento. A quell’epoca si pubblicava a Belgrado un quotidiano che si chiamava Piemonte, perché i serbi vedevano nell’Unità d’Italia, conquistata da pochi decenni, un modello per raggiungere la loro, come infatti fecero in forma monarchica. Inoltre il ‘gendarme’ Milosevic, checché se ne sia detto e scritto, era, almeno dopo la pace di Dayton, un fattore di stabilizzazione nei Balcani. Ridotta ora la Serbia ai minimi termini, in Kosovo, in Bosnia, in Macedonia, in Montenegro, in Albania sono concresciute grandi organizzazioni criminali che vanno a concludere i loro primi affari sporchi nel Paese ricco più vicino, l’Italia. Quando a Ballarò, presente Massimo D’Alema, dissi che la guerra alla Serbia oltre che illegittima era stata cogliona, l’ex presidente del Consiglio, premier all’epoca di quell’intervento, non fiatò. Ma io a Ballarò non ci ho più rimesso piede.
Ma l’avventurismo yankee nei Balcani ci ha lasciato un altro regalo, il più gravido di conseguenze: ora, a causa dei contraccolpi dell’aggressione alla Serbia del 1999, noi gli uomini del Califfo li abbiamo sull’uscio di casa, mentre gli americani, almeno per il momento, se ne possono fregare perché c’è l’oceano di mezzo. Eppoi gli Usa almeno qualcosa hanno ottenuto: oggi in Kosovo c’è, in assoluto, la loro più grande base militare. Non è poco visto che, in giro per il mondo, ne hanno una settantina.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 19 febbraio 2016