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Ora che il governo della Repubblica è caduto nel pieno arbitrio di pochi prepotenti, re e tetrarchi sono divenuti vassalli loro, a loro popoli e nazioni pagano tributi: noi altri tutti, valorosi, valenti, nobili e plebei, non fummo che volgo, senza considerazione, senza autorità, schiavi di coloro cui faremmo paura sol che la Repubblica esistesse davvero. Ma chi, chi se è un uomo, può ammettere che essi sprofondino nelle ricchezze e che sperperino nel costruire sul mare e nel livellare i monti, e che a noi manchi il necessario per vivere? Che essi si vadan costruendo case e case l’una appresso all’altra e che noi non si abbia in nessun angolo un tetto per la nostra famiglia? Per quanto comprino dipinti, statue, vasellame cesellato, per quanto abbattano edifici appena costruiti per ricostruirne altri, insomma per quanto dilapidino e maltrattino il denaro pubblico in tutti i modi pure non riescono a esaurire la loro ricchezza con i loro infiniti capricci. Per noi la miseria in casa, i debiti fuori, triste l’oggi, spaventoso il domani. Che abbiamo, insomma, se non l’infelicità del vivere?”.

Le parole che Lucio Sergio Catilina pronunciò il primo giugno del 64 a.C., che Sallustio gabella come un’arringa ai congiurati ma che in realtà erano semplicemente un discorso preelettorale perché di lì a poco si sarebbero tenute le consultazioni per il consolato (in cui Catilina fu sconfitto con i consueti brogli come era già accaduto due volte in precedenza, e solo dopo questa ennesima violenza si decise a prendere le armi) suonano oggi di una straordinaria attualità. E non per questo o quel Paese, questo o quel regime sociale e di governo, ma per l’intero mondo sviluppato e globalizzato. Sembra quasi che Catilina abbia letto i Panama Papers pubblicati nei giorni scorsi. In questi papers ci sono tutti i personaggi cui Catilina allude: i governanti di tutti i regimi, dittatoriali, autoritari, semiautoritari, democratici, i loro famigliari, i loro vassalli e l’inesausta fauna dei predatori economici e finanziari, internazionali e nazionali, quasi sempre legati ai primi, a loro volta circondati da corti, posseduti, pur già ricchissimi, dall’eterna smania di arricchirsi ancora di più ai danni di coloro che Catilina chiama ‘volgo’, cioè noi, i ‘cittadini comuni’ (e in questa definizione sprezzante c’è già tutto).

E se in questi papers ci sono solo alcuni dei governanti, dei predatori e dei loro clientes a vario titolo è unicamente perché l’inchiesta del Consorzio dei giornalisti investigativi si è concentrata sullo studio legale Mossack Fonseca, uno dei tanti organismi paralegali che agiscono nei vari paradisi fiscali del mondo, in questo caso Panama. Ma si può star certi che è solo la punta di un iceberg molto più profondo ed esteso.

Ma nel discorso di Catilina ci sono affinità col presente ancor più strabilianti. Ci sono le guerre (come quella all’Iraq) fatte per distruggere e poter poi organizzare il business della ricostruzione (“per quanto abbattano edifici appena costruiti per costruirne altri”) e c’è l’orgia delle opere inutili per poter grassare altro pubblico denaro (“ma chi, se è un uomo, può ammettere che…sperperino ricchezze nel costruire sul mare e nel livellare i monti?”) e naturalmente c’è in parallelo la spaventosa miseria provocata proprio da queste ricchezze.

Ma il generoso tentativo di Catilina (“nato da illustre famiglia” come scrive Sallustio) di riscattare il volgo (“Mi sono assunto, com’è mio costume, la causa generale dei disgraziati”) fallì e si concluse con la sua esaltante morte nella battaglia di Pistoia del 5 gennaio del 62 a.C. . E, in Roma, fallirono anche i tentativi, dello stesso senso, di Caligola e quello, più articolato e strutturato, di Nerone. E tutti e tre, Catilina, Caligola e Nerone, saranno infamati in saecula saeculorum.

Ma anche quando il popolo, nel corso della storia, ha provato a riscattarsi da solo le cose non sono andate meglio. In Russia le grandi rivolte contadine del ‘600 e ‘700 guidate da Stenka Razin e da Pugacev furono soffocate nel sangue dagli Zar e, nell’800, nel civile Occidente, soffocate nel sangue furono le rivolte dei luddisti, i quali avevano intuito che le macchine avrebbero tolto loro il lavoro e, soprattutto, la dignità del lavoro. La Rivoluzione d’Ottobre fu invece opera di un’élite, Plechanov, Lenin e Trotsky (il vero protagonista dei “dieci giorni che sconvolsero il mondo”, Lenin se ne stava nascosto sotto una parrucca bionda alla stazione di Finlandia) che aveva alle sue spalle una solida base teorica, quella fornita da Marx, ma il risultato, alla fine, fu che a un’oligarchia se ne sostituì un’altra più feroce e sanguinaria di quella degli Zar.

Però c’è la Democrazia che, secondo lettera, è ‘il governo del popolo’. Ma ogni volta che il popolo cerca di prendersi direttamente ciò che li spetta i movimenti che lo appoggiano vengono bollati come ‘populisti’, come accade attualmente in Europa e anche in Italia. Sudditi siamo e tali dobbiamo restare. E allora se nel discorso di Catilina sostituiamo il termine Repubblica con quello di Democrazia il finale suona così: “Noi altri tutti, valorosi, valenti, nobili e plebei, non siamo che volgo, senza considerazione, senza autorità, schiavi di coloro cui faremmo paura sol che la Democrazia esistesse davvero”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 8 aprile 2016