Il Mullah Akhtar Mansour, attuale capo dei Talebani, mentre su un taxi, solo e senza scorta, stava viaggiando in una remota regione che sta a cavallo fra Afghanistan e Pakistan è stato ucciso da un drone americano (nonostante i Talebani non abbiano alcuna possibilità di colpire un caccia, perché non hanno nessuna forma di contraerea sempre più spesso gli yankee preferiscono affidarsi ai droni).
A parte ilfattoquotidiano.it, che ne ha dato una cronaca molto puntuale, questa notizia è stata trattata con scarso rilievo dai giornali italiani, mentre la morte di Mansour apre scenari che possono andare ben oltre la lunga guerra afgana. Mansour era succeduto al Mullah Omar, morto di tubercolosi nel 2015, che lo aveva indicato come suo successore. La sua morte apre due diversi scenari. Il primo è che la sua uccisione compatti e anzi allarghi il movimento talebano non per la sua uccisione, del tutto legittima dato che si trattava di un guerrigliero, anzi del capo dei guerriglieri, ma per il modo vilissimo in cui è avvenuta e si sa che gli afgani, popolo guerriero abituato a combattere a viso aperto, detestano queste pratiche occidentali per cui è già avvenuto che afgani che non erano talebani si siano uniti al movimento. In questo caso diventerà ancora più difficile sconfiggere la resistenza afgana che dura da 14 anni. Ma questa è l’ipotesi meno probabile e, in fondo, più favorevole agli occupanti occidentali. Il secondo scenario prevede invece la disgregazione del movimento talebano. Bene, dirà il lettore. Invece non è così. E cerchiamo di spiegare il perché. Tutta la vecchia guardia talebana (di cui facevano parte ovviamente Mansour e Omar che era il più giovane del gruppo) che viaggia oltre la cinquantina, benché sunnita è totalmente contraria all’Isis, alle sue smanie espansionistiche, al suo terrorismo globale e, per quanto possa sembrar strano, alla sua ideologia estremista, wahabita. E l’Isis è il vero, grande e mortale pericolo per l’Occidente. L’ultimo atto ufficiale del Mullah Omar, firmato da Mansour ma ispirato dal suo capo morente, del 16 giugno 2015 (di cui solo noi del Fatto abbiamo dato informazione) è una durissima lettera aperta diretta ad Al Baghdadi in cui gli si dice sostanzialmente: 1. Non osare penetrare in Afghanistan perché l’Isis non ha nulla a che vedere col nostro movimento di indipendenza e di liberazione. 2. Stai pericolosamente dividendo il mondo musulmano. E’ infatti da circa un anno che l’Isis sta cercando di penetrare anche in Afghanistan. Il Mullah Omar, grazie all’enorme prestigio che si era conquistato in più di un quarto di secolo di lotta per l’indipendenza del suo Paese prima combattendo contro gli invasori sovietici poi contro i ‘signori della guerra’, e della droga, espellendoli dal Paese, infine con i 14 anni di resistenza all’occupazione occidentale, era riuscito a contenere la tentazione di molti giovani afgani di arruolarsi in Isis. Tentazione facilmente spiegabile. Il Mullah Omar con la sua guerriglia normale, che oserei chiamare quasi ‘gentile’ (attentati mirati solo a obbiettivi militari e politici, nessun osceno video con sgozzamento di prigionieri, nessun sequestro di occidentali a scopo di estorsione, nessun Bataclan, cioè nessun attentato fuori dai confini dell’Afghanistan) in 14 anni era riuscito a riconquistare solo una parte, quella rurale, del Paese. I giovani guerriglieri talebani che hanno esperienze e mentalità diverse dalla ‘vecchia guardia’, vedono che invece Al Baghdadi, con i suoi metodi bestiali, in meno di tre anni ha occupato un territorio enorme che sta ulteriormente estendendo e si è posto come guida indiscussa della lotta musulmana contro l’Occidente. E quindi molti giovani afgani ne sono irresistibilmente attratti e vanno a ingrossare le sue file. Se già al Mullah Omar era difficile contenere questo slittamento verso Isis, tanto più lo era per Mansour che continuava a seguire le tecniche di guerriglia del fondatore del movimento talebano, e ancor più lo sarà per il suo successore. Se vale la logica che “il nemico del mio nemico è un mio amico” gli occidentali invece di accanirsi, indebolendolo, contro il movimento talebano che per noi non costituisce, a differenza di Isis, alcun pericolo, dovrebbero limitarsi a contenerlo, considerandolo un alleato sia pur indiretto, un po’ come avviene in Iraq con i pasdaran iraniani un tempo inseriti nell’‘Asse del male’. Se Isis sfonda in Afghanistan non solo acquisirà a sé circa 80.000 guerriglieri, che sul campo di battaglia non sono meno validi dei suoi, ma occuperà una regione vastissima potendo anche spingersi in Turkmenistan, Kazakistan, Pakistan com’è nel suo dichiarato programma (Operazione Khorasan). Invece gli occidentali si ostinano a continuare la guerra all’Afghanistan che, a detta di tutti gli esperti, non possono vincere, favorendo il vero pericolo cioè l’Isis. Come dicevano i latini Deus dementat quos vult perdere.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 26 maggio 2016