Avevo appena finito di scrivere un articolo contro le indebite ingerenze del papato negli affari interni dello Stato italiano, che ne è avvenuta una, infinitamente più grave nello specifico, da parte dell’ambasciatore americano a Roma John Phillips, che certamente non parlava a nome proprio ma del presidente degli Stati Uniti, il quale ha ‘consigliato’ agli italiani di votare Sì al prossimo referendum costituzionale aggiungendovi il ricatto economico e cioè la minaccia che le imprese yankee non investiranno più in Italia e facendosi supportare dall’agenzia di rating Fitch che è una filiale londinese della Fitch di New York.
Questa inaudita intromissione negli affari interni dello Stato italiano, oltretutto su una questione delicatissima che divide il nostro Paese, la prima espressa in modo così esplicito, ha causato molto imbarazzo sia a sinistra che a destra perché tutti i partiti e movimenti italiani, ad eccezione dei Cinque Stelle e dell’infamatissimo CasaPoud, sono da tempo sdraiati come sogliole ai piedi dell’’amico americano’. Sull’Unità, organo ufficiale del Pd, Annalisa Chirico scrive che quella di Phillips è “una analisi legittima e doverosa” e aggiunge che l’ambasciatore americano “può dare consigli e formulare auspici”. Sono affermazioni al limite dell’incredibile perché un ambasciatore deve relazionare al suo Paese sulla situazione dello Stato in cui si trova, ma non può in alcun modo intromettersi formalmente nelle sue questioni interne. Ed è penoso anche che adesso Matteo Salvini e Renato Brunetta facciano i pettoruti difensori dell’indipendenza nazionale quando è da tempo immemorabile che la destra italiana, ammesso che questa possa definirsi una destra, è, Berlusconi in testa, più americana degli americani. E sia chiaro che l’altolà all’ingerenza americana avrebbe dovuto esserci anche se Phillips si fosse espresso in favore del No. Lo dico anche ad Antonio Padellaro che afferma che in fondo gli americani non ci hanno bombardato. “Ma quanto è buona Lei, signora Belva”.
E’ dalla scomparsa del Pci che noi italiani non riusciamo a dire nemmeno un flebile no alle prepotenze americane, fuori d’Italia e in Italia, e che anzi le appoggiamo senza riserve. Nel 1999 abbiamo partecipato all’aggressione alla Serbia (gli aerei Usa partivano da Aviano) cui l’Onu era contraria e nonostante che noi con la Serbia avessimo buoni e storici rapporti. Persino la piccola Grecia, che pur è un membro di quella truffa chiamata Nato, si rifiutò di partecipare a quell’operazione. Non abbiamo alzato un dito contro l’aggressione del 2003 all’Iraq altro Stato sovrano, come la Serbia, rappresentato all’Onu che anche in questo caso era contraria all’intervento. Anzi abbiamo mandato sul posto ambigui consiglieri e ‘addestratori’ (ma quanta gente stiamo ‘addestrando’ in giro per il mondo?). Abbiamo partecipato, sia pur malvolentieri (Berlusconi era contrario, ma poi si piegò, e questo rende la sua adesione ancora più grave) all’aggressione alla Libia di Gheddafi, altro Stato sovrano rappresentato all’Onu che anche in questo caso era contraria. Tra l’altro con la Libia avevamo corposi interessi economici che abbiamo sacrificato a favore dei francesi, questi eterni e pericolosi ammalati di grandeur ma notoriamente imbelli quando ci sia un avversario degno di questo nome (la famosa ‘linea Maginot’, Hitler passò dal Belgio e in due settimane era a Parigi). Continuiamo a mantenere truppe in Afghanistan, da cui perfino i canadesi, strettissimi alleati degli Stati Uniti, se ne sono andati, per sostenere gli americani che non possono ‘perdere la faccia’, la loro bella faccia, e ammettere che quella guerra infame e ingiusta l’hanno perduta. Anche in Afghanistan manteniamo, oltre a 540 soldati, un altro mezzo migliaio di ‘consiglieri’ e ‘addestratori’ per sostenere un governo, quello di Ashraf Ghani, che senza la presenza americana sul terreno, con basi, bombardieri e droni, non rimarrebbe in piedi più di due settimane di fronte alla resistenza afgano-talebana.
Il 3 febbraio del 1998 un pilota americano, volendo fare il Rambo, tagliò le funi della funivia del Cermis provocando 14 morti. Non è stato processato né in Italia né negli Stati Uniti. Come non vengono processati i soldati americani di base a Napoli che a volte, tanto per divertirsi, stuprano ragazze italiane. Il 4 marzo del 2005 il nostro agente Nicola Calipari fu ucciso da un soldato americano, Mario Luis Lozano, di guardia a un checkpoint. In quel caso gli americani avevano ragione perché il governo italiano a guida Berlusconi, nella fretta di riportare in Italia la giornalista Giuliana Sgrena esibendola come un trofeo, non aveva avvertito i comandi statunitensi. Ma un’inchiesta, almeno un’inchiesta, non si nega a nessuno. Per noi nemmeno quella.
I servi vengono trattati, giustamente, da servi. E per questo gli americani pensano di potersi permettere intromissioni inaudite come quella di Phillips. Perfino il presidente delle Filippine, Duterte, ha mandato all’inferno gli yankee, definendo Obama un “figlio di puttana”, che volevano segnare la solita ‘linea rossa’ per i modi molto spicci con cui Duterte cerca di liberarsi dei trafficanti di droga. Da noi si sono alzati solo deboli vagiti da parte di singoli uomini politici ma dovrebbe essere il Governo italiano, nella persona del suo premier, Matteo Renzi, a reagire formalmente e ufficialmente chiedendo spiegazioni agli Stati Uniti e, soprattutto, rispedendo l’ambasciatore Phillips a casa sua. Invece il 18 ottobre Matteo Renzi andrà alla Casa Bianca per genuflettersi davanti a Barack Obama e ricevere, come scrive Travaglio, il ‘Premio Fantozzi’.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 15 settembre 2016