“Gelicidio”. Questo termine raggelante, è il caso di dirlo, che richiama eccidi, stermini di massa, genocidi e forse persino la Shoah, è stato usato a manetta, a partire da venerdì, da tutti i media nazionali, dai meteorologi, dagli esperti dell’Aeronautica militare. Che cos’è il “gelicidio”? E’ il sottile strato di ghiaccio che può formarsi sull’asfalto quando cade una pioggerella mista a nevischio. L’epicentro del “gelicidio” era stato individuato dai meteorologi a Milano e sulle strade e autostrade che si diramano dal capoluogo lombardo, soprattutto verso est. Le descrizioni erano catastrofiche: moltitudini di ciclisti che capitombolavano a terra, pedoni fratturati per essere scivolati sull’asfalto ghiacciato, incidenti di macchina a ripetizione, ulular di autoambulanze, i Pronto soccorso in “codice nero” (questa è la prima volta che la sento) per sovraffollamento.
Io vivo a Milano. Venerdì mattina, che doveva essere il climax, lo zenit, l’apice del “gelicidio”, sono uscito a fare quattro passi con un amico che viene poco a Milano per fargli conoscere luoghi un po’ particolari della città. In due ore non abbiamo visto ciclisti capitombolare rovinosamente, pedoni scivolare, né sentito un concerto di ambulanze diverso dal solito. Il pomeriggio sono partito per Brescia, su un’autostrada che secondo i cantori del “gelicidio” doveva essere la tomba delle automobili e dei loro passeggeri. In effetti il lastrone di ghiaccio sull’autostrada è insidioso perché se lo prendi a una certa velocità perdi il controllo della macchina e vai a sbattere. Ma con un minimo di esperienza lo puoi individuare anche da una certa distanza perché l’asfalto cambia colore, diventa di un grigio rifrangente (è l’effetto-specchio). In ogni caso sull’autostrada del possibile “gelicidio” non abbiamo trovato, né all’andata né al ritorno, un solo lastrone di ghiaccio.
A Milano a gennaio e febbraio ha sempre fatto freddo, a parte le due ultime stagioni in cui non abbiamo avuto inverno ma temperature quasi primaverili dovute probabilmente ai cambiamenti climatici in corso in tutto il mondo (con fenomeni estremi, come, da noi, le gelate in Puglia che hanno messo in grave difficoltà l’agricoltura, causati, in barba a Myron Ebell, dalla produzione di CO2). Ma negli altri settant’anni della mia vita cosciente l’inverno milanese è sempre stato freddo e anche freddissimo. Mi ricordo che nei Beati anni del castigo per dirla con il titolo di un bellissimo libro di Fleur Jaeggy, cioè quando ero ragazzo e calcavo i campi del pallone, di aver giocato, di pomeriggio (non c’erano ancora le partite in notturna, almeno per noi delle giovanili) anche a 5°, a 7° sottozero. Ma non ce ne facevamo un problema. Del resto quando corri il freddo non lo senti, chi se la cavava male era il portiere che doveva saltellare in continuazione per non assiderare.
Il “gelicidio” ha colpito, a sentir le tv, anche Roma. Ora Roma ha un clima meraviglioso (le ‘ottobrate romane’) e un solo mese veramente invernale, gennaio, in cui la temperatura può scendere, soprattutto la notte, vicino allo zero e anche sotto. Dov’è la novità?
Siamo vittime, non bastassero gli altri, di un terrorismo climatico. La ‘bomba d’acqua’: sono onesti temporali come sempre ci sono stati e sempre ci saranno.
La prossima estate si inventeranno il ‘solicidio’. Del resto è già da un bel po’ di anni che i media ci tempestano e ci terrorizzano narrando l’ascesa di temperature omicide: 35°, 40°, 45 gradi in Puglia. Come se non bastasse, per non farci mancar nulla, adesso aggiungono la ’temperatura percepita’ che fa salire di quattro o cinque gradi il barometro. I cupi ammonimenti sono rivolti soprattutto ai vecchi che muoiono più per la paura che per il caldo (oltre che per la solitudine, perché d’estate i figli se ne vanno in vacanza, ma questo aprirebbe tutto un altro discorso).
D’estate fa caldo, d’inverno fa freddo. Oh bella! D’estate poi il terrorismo climatico si coniuga con quello diagnostico. Poiché veniamo da inverni in cui siamo stati prevalentemente fermi e in vacanza riprendiamo a fare un po’ di moto, dovremmo auscultarci, palpeggiarci, usare il frequenzimetro per controllare il ritmo del battito cardiaco. Se dobbiamo passare le vacanze in questo modo angoscioso tanto vale restare a casa.
C’è un’esagerazione, un’amplificazione, un’enfasi, una sproporzione in tutto (se tre ciclisti vengono investiti da un’auto è già “una strage”- le stragi sono un’altra cosa- se una povera ragazza si trova nel giorno sbagliato nel posto sbagliato non è una vittima ma un eroe la cui salma viene ricevuta all’aeroporto dal Presidente della Repubblica con onori quasi militari).
Siamo una società dell’iperbole, che ha perso il senso della misura o, più semplicemente, il buon senso.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 17 gennaio 2017