I Talebani non solo si sono dissociati dall’attentato del 31 maggio a Kabul che ha causato più di 90 morti e 400 feriti, tutti o quasi tutti afgani, ma lo hanno condannato senza se e senza ma. L’Isis lo ha invece rivendicato. Non è la prima volta che ciò accade. Il precedente più noto è quello dell’attentato nel dicembre del 2014 a un Istituto scolastico a Peshawar frequentato dai figli dei militari pachistani. Ma ci sono state molte altre occasioni di questo genere.
In Occidente non si è capito (qualche refolo arriva solo ora, vedi il pezzo di Curzi sul Fatto del 1° giugno) che Talebani e Isis non hanno niente a che vedere fra di loro, che anzi sono totalmente avversari. Per molte ragioni. Primo. I Talebani del Mullah Omar, finché è rimasto in vita, non sono affatto quei “tagliagole” che sempre ci è piaciuto descrivere. Sono musulmani ma non sono arabi, appartengono a un antico popolo tradizionale. Secondo. I Talebani conducono da 16 anni una legittima guerra di indipendenza contro gli occupanti occidentali. Non colpiscono i civili non solo perché non sono tagliagole ma perché non hanno nessun interesse a inimicarsi la popolazione il cui sostegno rende possibile la loro resistenza più che decennale. Terzo. Sono almeno quattro anni che i Talebani si battono contro l’Isis sia nelle regioni ai confini fra Afghanistan e Pakistan sia all’interno dell’Afghanistan. Decisivo in questo senso è l’ultimo atto del Mullah Omar: una lettera aperta del 16 giugno 2015 diretta ad Al Baghdadi in cui il Mullah intimava al Califfo di non cercare di penetrare in Afghanistan perché la guerra di indipendenza afgana è un fatto interno e non ha nulla a che vedere con i deliri planetari dell’Isis. In seconda battuta il Mullah Omar ammoniva il Califfo: “Tu stai dividendo pericolosamente il mondo musulmano”. E infatti durante i sei anni del governo talebano (1996-2001) non c’è stata alcuna persecuzione nei confronti delle minoranze religiose, sciiti, hazara, uzbeki. In quanto ai tajiki di Massoud, che non si rassegnava alla sconfitta, erano stati ricacciati nel Panshir. Almeno questa lettera, che solo io sul Fatto ho pubblicato, avrebbe dovuto aprire gli occhi all’Occidente. I Talebani diventavano oggettivamente nostri alleati in funzione anti Isis. Invece abbiamo continuato stolidamente a combatterli e loro a rispondere con i tradizionali metodi della guerriglia. Tutto ciò ha provocato il rafforzamento dell’Isis in Afghanistan. Stretti fra gli occupanti occidentali e gli uomini dell’Isis i Talebani, pur sempre egemoni nella vasta realtà rurale del Paese, hanno dovuto cedere posizioni soprattutto nelle città o attorno alle città, principalmente a Kabul. Inoltre, soprattutto dopo la morte di Omar che con il suo indiscusso prestigio teneva insieme il movimento talebano, molti giovani talebani sono stati attratti dal Califfo che con i suoi metodi brutali era riuscito a fare ciò che a Omar era costato quindici anni di guerriglia. Parte di quanto scrivo oggi e vado scrivendo da anni è ammesso dallo stesso Curzi: “Pur nella follia della loro dottrina, gli ‘studenti’ portano avanti da anni una battaglia ben precisa con gli apparati interni: nessun obbiettivo civile, solo attacchi contro polizia, esercito e amministratori afgani”. Che la dottrina dei Talebani sia una “follia” è un’opinione. Quel che è certo è che non si occupa per 16 anni un Paese, dopo averne abbattuto a suon di bombe un governo, quello talebano, che aveva riportato in Afghanistan l’ordine e la pace, per la prima volta dopo l’invasione sovietica e il conflitto civile fra i ‘Signori della guerra’, solo perché non ci piace la sua ideologia, come invece abbiamo fatto noi occidentali, americani in testa.
Ultimamente si assiste a una riscossa talebana. Lo scorso aprile un commando talebano ha attaccato una caserma del Corpo d’armata afgano nella provincia settentrionale di Balkh uccidendo, secondo Tolo Tv, 256 soldati. Ma, sempre recentemente, ci sono stati altri attacchi talebani sia pur meno clamorosi. Come si spiega? I russi hanno riconosciuto ufficialmente che i Talebani sono un legittimo movimento politico e militare e probabilmente forniscono loro armi. Perché lo hanno fatto? Perché sono meno idioti degli occidentali. Hanno capito che se Isis sfonda in Afghanistan poi si espande in Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan (progetto Khorasan dell’Isis che comprende anche il Pakistan) tutti Paesi con forti componenti musulmane, e il terrorismo jihadista si avvicinerebbe pericolosamente a Mosca.
Come si esce da questa situazione? E’ assolutamente inutile, anzi estremamente dannoso, continuare ad addestrare i militari afgani fedeli al governo fantoccio di Ashraf Ghani. Lo stiamo facendo da 16 anni e non ne abbiamo cavato nulla. I militari dell’esercito ‘regolare’ afgano, tagiki a parte, sono dei poveri ragazzi disoccupati (durante il governo del Mullah Omar la disoccupazione era dell’8%, oggi è al 40) che entrano nell’esercito senza nessuna convinzione, riluttanti a sparare su dei loro connazionali e solo per avere un salario. Appena possono se la filano. Ogni anno per tot giovani afgani che entrano in questo esercito fantoccio altrettanti ne escono.
La sola soluzione è che gli occupanti se ne vadano dall’Afghanistan invece di portarvi nuove truppe come aveva preannunciato Obama e come sta per fare Trump. In questo modo i Talebani che hanno un’esperienza di guerriglia lunghissima (quelli di generazione più antica hanno combattuto i sovietici) superiore a quella dell’Isis, e un coraggio non minore, potrebbero sconfiggere gli uomini di Al Baghdadi.
C’è però un ma. Mettendo afgani contro afgani gli occupanti occidentali hanno posto le premesse per una nuova guerra civile. La struttura della popolazione afgana è fatta a clan: se tu uccidi mio fratello io devo uccidere tuo fratello. Se ci fosse ancora il Mullah Omar, con la sua saggezza, con la sua moderazione, con il suo prestigio, avrebbe potuto forse comporre le reciproche ostilità che si sono create nel frattempo. Ma il Mullah è morto fra il giubilo ‘folle’, demente, degli occidentali.
Se una nuova guerra civile ci sarà vorrà dire che gli occidentali saranno riusciti a far ritornare l’orologio della Storia dell’Afghanistan al 1992 quando Dostum, Ismail Khan (oggi al governo), Gulbuddin Hekmatyar e il molto apprezzato Massoud si combattevano per conquistare il potere lasciato vacante dai sovietici, assassinando, stuprando, taglieggiando e, come disse il Mullah Omar, “compiendo ogni sorta di abuso, di sopruso e di violenze sulla povera gente”. Il che diede origine, e ragione, alla rivolta sua e dei suoi ragazzi.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2017