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In vacanza non leggo giornali italiani. È una sorta di ecologia della mente per disintossicarsi dei Renzi, degli Speranza, degli Orfini, dei Salvini, dei Verdini, di cui si sa benissimo che tutto ciò che dicono o , più raramente, fanno è solo un impudico sgomitare per cercare le migliori posizioni nella lunghissima volata che ci porterà alle elezioni politiche del 2018.

In Corsica leggo solo Corse Matin. Che si occupa di abigeati, di feste di paese, degli indipendentisti, che due anni fa hanno abbandonato la lotta armata ma tengono il punto: non vogliono che la loro isola diventi la Disneyland della Francia. Alla Francia e alla politica francese il Corse da, e con una certa riluttanza, solo due pagine. Agli internazionali una (Monde) ed è la più interessante. Perché vi trovate notizie che vanamente cerchereste altrove se non, a volte, scovandole col microscopio. E non mi riferisco solo ai giornali italiani ma anche all’autorevole Le Monde dalle cui pagine trasuda un’albagia, una spocchia, uno snobismo superato solo da La Repubblica.

Fra le notizie ignorate o semignorate o nascoste dai media occidentali, ci sono in particolare quelle che riguardano l’Afghanistan. Capisco bene che oggi l’attenzione sia particolarmente concentrata sulla Siria dove, curdi a parte, le grandi potenze e quelle regionali (Stati Uniti, Russia, Siria, Turchia, Iran) giocano il solito sporco gioco sulla testa e col sangue soprattutto dei civili. Ma in Afghanistan c’è una guerra che si combatte non da cinque anni ma da più di sedici e che è molto più lineare del carnaio mediorientale perché è una guerra di liberazione contro l’occupante straniero (che naturalmente non si riconosce tale, e definisce la sua una missione che chiama, pensate un po’, Resolute Support).

Diamo qui, in ordine cronologico, l’elenco delle notizie afghane ignorate o semignorate solo nell’ultimo mese

10/7 Denuncia delle torture subite dai prigionieri talebani ad opera dei militari americani e della polizia afghana nella base di Bagram e nelle numerose altre che gli Stati Uniti hanno impiantato nel Paese. 21/7 30 agenti della polizia afghana sono stati uccisi dagli insorti nel distretto di Tagab. 21/7 12 agenti afghani sono stati uccisi da ‘fuoco amico’ in un raid americano nella provincia di Helmand. 22/7 Scontri nella regione di Farah fra i talebani e le forze di sicurezza afghane con un bilancio di 18 morti, 12 fra i talebani e 6 soldati dell’esercito ‘regolare’. 24/7 Autobomba talebana a Kabul contro i dipendenti del governo con un bilancio di almeno 35 morti. 27/7 Un commando di decine di talebani attacca in piena notte, nel sud del Paese, una base dell’esercito ‘regolare’ afghano con un bilancio di almeno 26 morti fra i soldati e 80 tra gli insorti. 30/7 In Helmand scontri fra talebani ed esercito ‘regolare’ afghano a un check-point della polizia con un bilancio di 12 morti fra gli agenti e 9 fra gli insorti. 31/7 Attacco a Kabul a un compound della polizia afghana vicino all’ambasciata irachena. Questo attacco è stato rivendicato dall’Isis. 2/8 Attacco in Herat a una moschea sciita con un bilancio di 30 civili morti (ndr Anche questo è Isis). 3/8 A Kandahar attacco talebano ad un convoglio della Nato, con 7 militari stranieri morti, fra cui 2 americani.

Trump, peraltro seguendo la linea di Obama, ha deciso di inviare altri 5.000 soldati in Afghanistan e ha chiesto l’appoggio degli alleati fra cui l’Italia che ne ha 950 prevalentemente basati ad Herat. Il Ministro della Difesa Pinotti si è dichiarato disponibile.

Qualcuno, politico, intellettuale, giornalista, spazzacamino, dovrebbe spiegarci, una volta per tutte, che cosa ci stanno ancora a fare in Afghanistan gli americani e i loro alleati a sedici anni dall’11 settembre. L’aggressione all’Emirato Islamico d’Afghanistan poteva avere, all’origine, una parvenza di senso perché in Afghanistan stava Bin Laden. Per la verità Bin Laden i Talebani se l’erano trovato fra i piedi, non ce lo avevano portato loro in Afghanistan ma Massud perché lo aiutasse a combattere un altro ‘signore della guerra’, Heckmatyar, e nel 1998 lo avrebbero volentieri eliminato (il Mullah lo definiva “un piccolo uomo”) in accordo con Bill Clinton se il Presidente Usa, all’ultimo momento, non si fosse inspiegabilmente tirato indietro (Documenti del Dipartimento di Stato). In ogni caso questa favola convenuta della responsabilità talebana è durata poco. Non c’era un solo afghano, tantomeno talebano, nei commandos che abbatterono le Torri Gemelle. Non si è trovato un solo afghano, tantomeno talebano, nelle cellule, vere o presunte, di Al Qaeda scoperte dopo l’11 settembre. È quanto ebbe il coraggio di affermare Muhammar Gheddafi in un discorso tenuto all’Onu nel settembre del 2009 e che probabilmente gli è costato la pelle e a noi italiani, stolidi complici di quell’eliminazione, una migrazione dalle coste libiche che non siamo assolutamente in grado di governare.

E allora perché noi occidentali restiamo ancora in Afghanistan? Per combattere l’Isis? Gli unici a combattere l’Isis, in Afghanistan, sono i Talebani, anche se sono sunniti come gli uomini del Califfo. Ho già ricordato che l’ultimo atto pubblico del Mullah Omar, prima di morire, è una ‘lettera aperta’ del giugno 2015 ad Al Baghdadi in cui gli intima di non intromettersi nelle vicende afghane perché i suoi deliri di onnipotenza religiosa globale non hanno nulla a che vedere con la guerra di indipendenza afghana che non si basa su motivazioni religiose ma, diremmo, laiche, cioè sul diritto di una popolazione a resistere all’occupazione dello straniero. Sul campo i Talebani hanno combattuto l’Isis nelle aree tribali fra Afghanistan e Pakistan e tuttora lo combattono. Ma l’occupazione occidentale che li costringe a tener testa su due fronti ha permesso all’Isis di infiltrarsi profondamente in Afghanistan arrivando fino a Kabul.

Ma c’è una tragedia nella tragedia. I soldati occidentali di fatto non sono sul campo, se ne stanno ben protetti al riparo nelle loro basi, così come a Kabul il governo fantoccio di Ashraf Ghani, tutte le ambasciate, tutte le Ong sono al riparo di tre linee di muri alti sei metri, il che dice di per sé di quanta simpatia godano in Afghanistan, fra i talebani e anche i non talebani, gli stranieri.

I Talebani nella loro guerra di guerriglia hanno sempre mirato ad obbiettivi militari e politici, mai, a differenza dell’Isis, ai civili. Per la semplice ragione che non hanno alcun interesse ad inimicarsi la popolazione sul cui appoggio si sostengono. È chiaro infatti che una lotta contro forze così potenti e tanto superiormente armate non può resistere per sedici anni se non ha l’appoggio della popolazione o di buona parte di essa. Bombardieri e droni, droni e bombardieri, questo è il vilissimo modo di combattere, o piuttosto di non combattere degli occidentali. Esposti restano quindi solo i soldati del cosiddetto esercito ‘regolare’ afghano su cui sono costretti a puntare gli insorti. Chi sono questi soldati? Sono dei poveri ragazzi afghani disoccupati (la disoccupazione in Afghanistan è oggi al 40%, al tempo del governo del Mullah Omar era all’8%) che per sopravvivere si arruolano senza convinzione e appena possono se la filano, tant’è che ogni anno per quanti ne entrano altrettanti ne escono. Di fatto quella che c’è oggi in Afghanistan è, per responsabilità degli occupanti, una guerra fratricida. E poiché nella mentalità e nella realtà afghana, una realtà di clan, il codice morale dice “se uccidi mio fratello io devo uccidere tuo fratello”, ecco che abbiamo preparato il terreno per una nuova guerra civile, anche qualora finalmente ci togliessimo dai coglioni. Quella guerra civile che Omar con i suoi Talebani aveva spazzato via nel 1996, cacciando oltre confine i ‘signori della guerra’ e dando a quel Paese i soli sei anni di pace dall’epoca dell’invasione sovietica (1979). Insomma saremmo riusciti a far tornare indietro di vent’anni l’orologio della storia afghana.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2017