I giornali hanno scoperto che c’è in giro l’influenza. Oh bella, ma da che mondo è mondo d’inverno c’è l’influenza. Sul Corriere Margherita De Bac, giornalista scientifica che di solito si occupa, e bene, di questioni importanti, si prodiga in consigli per prevenire e curare il terribile morbo, anche se c’è una massima, popolare ma pure diffusa fra i medici, che dice che “un raffreddore ben curato dura una settimana, uno non curato una settimana”. Per la prevenzione c’è naturalmente il vaccino, se poi, vaccino o no, ci si ammala: riposo, letto, bere molta acqua, cibi leggeri. Chiedo scusa alla De Bac ma sono cose che tutte le mamme sanno perché i bambini sono il veicolo più comune del terribile morbo.
Un consiglio mi permetto di darlo anch’io: uscite più scoperti che potete. Da ragazzo, con una madre russa che si curava poco del freddo e, per la verità, anche di me, io d’inverno uscivo scamiciato, senza golf, con i calzoncini corti fino all’inguine. I miei vicini Mosca, quattro figli del famoso umorista più o meno della mia età, uscivano coperti fino al collo, sciarpe, cappotti pesanti, cappelli e, quel che è più grave, in una famiglia snob e un po’ parvenu (si trattava pur sempre di giornalisti) calzoni corti sì ma fino al ginocchio “perché così li porta Carlo d’Inghilterra”. Bene, in tutti quegli anni io non ho mai beccato un’influenza, i Mosca se ne facevano una mezza dozzina a stagione e più si coprivano e più si ammalavano.
Del terrorismo da influenza è compare quello meteorologico, invernale ed estivo. C’è un temporale come ne abbiamo visti mille volte? No, è “una bomba d’acqua”. Cade finalmente sulle montagne la neve a lungo sospirata da sciatori e albergatori. Possiamo essere contenti? Eh no, c’è “l’allerta 3 su 5”, pericolo valanghe che sui monti ci sono sempre state e sempre ci saranno. Straripano i fiumi come sono sempre straripati. No, “esondano” parola di nuovo conio che evoca disastri. C’è una tempesta che arriva dal Nord e, come quasi sempre, coinvolge buona parte dell’Europa. Non è una tempesta, è la Supertempesta Eleanor che ha fatto in tutto un morto, altri dicono tre, comunque meno di un incidente stradale. Allarme rosso: la gente non deve uscire di casa. E’ estate, fa caldo, dovrebbe essere normale. Ma i notiziari non si limitano a darti le temperature, troppo semplice, ti forniscono anche quelle “percepite” e così tu che fin lì non ci avevi fatto troppo caso prendi paura, cominci a sudare come se fossi nella sala macchine di una nave, ti manca il respiro e chiami il 118.
La nostra è una società dell’esagerazione. In tutto. Anche nel calcio. Il portiere fa una parata un po’ difficile, è “un salvataggio miracoloso”. Uno tira una punizione a palombella che si insacca, come ne faceva a caterve tanti anni fa l’interista Mario Corso, è “un gol strepitoso, il più bello della stagione”.
Ma di tutti i terrorismi il più temibile è quello diagnostico e preventivo. Dovresti palpeggiarti e auscultarti in ogni momento (e un’extrasistole è già un infarto), fare una mezza dozzina di esami clinici l’anno. Eppoi, va da sé, niente fumo e niente alcol. Ma jogging per inspirare a pieni polmoni l’aria inquinata che ci circonda. Poiché la tecnica ci ha sollevato da ogni fatica fisica siamo costretti a rifugiarci nelle palestre e in queste stronzate (mai visto un contadino fare jogging). C’è poi il subterrorismo del colesterolo su cui marciano la pubblicità e le case farmaceutiche. Sei lì tranquillo, seduto in poltrona e irrompe l’annuncio sinistro e sibillino: “Avevo il colesterolo a 235. Dicevo: non è importante. Mi sbagliavo”. E la glicemia? C’è gente che se la misura, con speciali macchinette, ogni mattina e se supera il limite “consentito” si tormenta tutto il giorno prima di correre dal medico di base che naturalmente gli farà fare una quantità infinita di esami dai quali verranno fuori altri superamenti dei limiti “consentiti” e così via in una spirale che non dà tregua e ti avvelena la vita. C’è quindi il terrorismo auditivo per cui, anche se ci senti benissimo, o così almeno ti pare, sei invitato, più o meno perentoriamente, a fare un controllo presso centri specializzatissimi, ultratecnologici, da medicina nucleare, per cui un difetto te lo trovano di sicuro. Insomma dovremmo vivere da vecchi fin da giovani. Tutto può essere pericoloso. E’ logico: è vivere che ci fa morire.
Abbiamo paura anche della nostra ombra, dell’ombra di un’ombra, di un petardo anzi della sensazione di un petardo come si è visto nell’indecoroso panico di piazza San Carlo a Torino: un morto e 1500 feriti, per un nulla.
E’ la paura l’autentico totem dell’epoca. E a tutti questi terrorismi da caga io, lo confesso, preferisco quello vero. Mi sembra più vitale.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2018