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Dopo le recenti e ripetute violenze di baby gang formate da adolescenti, preadolescenti e quasi-bambini ai danni di persone indifese o in chiaro stato di inferiorità, Forza Italia ha proposto di abbassare l’età della ‘non punibilità’ da 14 a 12 anni. Sono d’accordo e andrei anche più in là: la porterei a 10. Oggi un bambino di dieci anni non è un bambino della stessa età di altri tempi. Grazie, o a causa, dei nuovi media ha una maggiore consapevolezza. Anche se, a contrario, proprio questi nuovi media, che i bambini usano compulsivamente, possono contribuire a fargli travisare la realtà. Comunque non c’è età in cui non si possa comprendere che mandare a fuoco un clochard dopo essersi divertiti per mesi a molestarlo e a irriderlo in ogni modo o aggredire un vecchio indifeso non è una ‘marachella’ ma un reato grave. Racconta un ufficiale di Polizia che si è occupato di uno dei casi in questione che questi ragazzini si sentono fortissimi quando agiscono in gruppo ma si sciolgono in lacrime quando si trovano da soli davanti a un magistrato che li interroga sia pur con tutte le dovute cautele del caso. Piccoli criminali e piccoli vigliacchi. Quando Vallanzasca, a dieci anni, insieme al fratellino di otto, aprì le gabbie di un circo per liberare tigri e leoni, sembrandogli quella prigionia intollerabile, davanti alle Autorità mantenne l’atteggiamento spavaldo di sempre. Rimase cioè se stesso. Preferisco.

Si dice, credo giustamente, in particolare da Marco Minniti, un ottimo ministro degli Interni, che questo fenomeno non può essere contenuto solo con la repressione, ma ci vuole l’educazione da parte della scuola e della famiglia. E qui il discorso non riguarda più i ragazzini ma gli adulti, cioè i genitori. Che autorità possono conservare i docenti se appena si permettono una nota di biasimo vengono aggrediti dai genitori per ‘lesa maestà’ del loro stronzissimo rampollo? Io penso che si debba abbandonare definitivamente il primo Spock, quello del permissivismo a oltranza, e tornare ai vecchi metodi. Tutta la mia generazione è stata allevata a cinghiate, nel senso letterale del termine: il padre si toglieva la cinghia dei pantaloni e te le suonava per ‘marachelle’ di gravità infinitamente inferiore a quelle che oggi ci vengono continuamente segnalate. Eppure non siamo cresciuti né delinquenti né disturbati. Quando divenimmo ventenni fummo protagonisti di una contestazione dolce, quella hippy, agli adulti che chiamavamo affettuosamente “i matusa”. I sessantottini, già figli del permissivismo, vezzeggiati e coccolati da piccoli e da grandi, abbracciarono invece una violenza vile e stupida. Per esempio picchiare l’’avversario’, o presunto tale, in trenta contro uno. Una cosa da far vomitare come fan vomitare i ragazzini che sbeffeggiano e magari uccidono un clochard o un vecchio.

E’ inquietante questa nuova gioventù. Per la maggioranza è formata da bravi ragazzi ma totalmente imbelli, tanto da subire ogni sorta di sopruso non solo dai coetanei più aggressivi ma dal mondo della politica. Dall’altra parte ci sono i piccoli delinquenti attivi sulla strada ma anche, e forse soprattutto, sul web.

E’ in atto una sorta di mutazione antropologica e sociale. Per noi, figli dell’immediato dopoguerra, era un punto d’onore difendere il più debole. E se qualcuno si fosse permesso di angariarlo o irriderlo avrebbe preso, lui sì, un fracco di botte sacrosante. Certo anche noi ci davamo battaglia nei terrain vague che ci avevano lasciato graziosamente i bombardamenti angloamericani (parlo di Milano). Ma c’erano delle regole, inderogabili. Se un ‘avversario’ cadeva a terra non lo si poteva toccare finché non si fosse rialzato. Se si capiva che qualcuno si era fatto male sul serio “fermi tutti”. Una volta che il mio gruppo si trovò in otto contro sei, uno dei nostri passò dall’altra parte per pareggiare i conti. Non c’era una vera rivalità, ideologica o di classe (da ragazzini facevamo tutti, poveri o ricchi che fossimo di famiglia, la stessa vita). Avevamo solo bisogno di sfogare la nostra vitalità giovanile.

Oggi noi italiani, giovani o adulti che si sia, siamo o imbelli o violenti in modo vigliacco. Anche gli immigrati che tanto temiamo, o almeno una parte di essi, sono strafottenti e violenti ma almeno, nella maggioranza dei casi, dimostrano coraggio. E’ una delle ragioni, insieme a quella fondamentale della denatalità, per cui se non si dà rapidamente una mossa “la razza bianca”, termine usato dal candidato di centrodestra alla presidenza della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e su cui si è innestata una stupidissima quanto ipocrita polemica, è destinata a scomparire.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2018