Al Festa del Fatto alla Versiliana dello scorso settembre, nel dibattito dedicato al “processo ai Cinque Stelle”, Alessandro Di Battista, da me istigato (ma per la verità non ne aveva bisogno) ha promesso che se i grillini fossero andati al potere avrebbero ritirato il contingente italiano stanziato in Afghanistan. Capisco che non possa essere una priorità del nuovo governo, se finalmente si farà. Però in Afghanistan teniamo ancora 900 uomini del tutto inutili (è da quando siamo in quel Paese che abbiamo fatto un accordo con i Talebani: loro non ci attaccano, in cambio noi non controlliamo il territorio). Si tratta di mercenari che sono lì solo perché il ‘soldo’ è maggiore. Non hanno alcuna motivazione politica e tantomeno ideale. Restiamo in quel Paese solo perché ci obbligano gli americani. Intanto però questa ‘missione di pace’ ci costa circa mezzo miliardo l’anno. Con questa cifra non si salda certamente un bilancio gravemente in rosso, ma qualche buco quei quattrini lo potrebbero coprire. Inoltre quei 900 soldati potrebbero essere utilizzati per la sicurezza interna, perché non è affatto detto che l’Isis continui a risparmiarci.
Nel frattempo in Afghanistan si continua a combattere la guerra più lunga dei tempi moderni, ma nessun giornale informa su quel che sta accadendo in quel Paese. Le notizie bisogna andarsele a cercare sull’Ansa o su qualche media straniero o attraverso qualche canale privilegiato e diretto. Ne diamo qui un breve sunto. 13 maggio: attacco agli uffici del dipartimento delle finanze di Jalalabad nella provincia orientale di Nangarhar. Dieci i morti e una ventina i feriti. Operazione suicida e guerrigliera rivendicata dall’Isis. 14 maggio. Le forze governative e quelle della Nato hanno bombardato le postazioni dei Talebani che avevano attaccato la città di Farah, nell’ovest del Paese. Non è stato fornito il numero dei morti e dei feriti, ma sappiamo che quando a bombardare sono gli americani, che lo fanno a ‘chi cojo cojo’, ci sono sempre numerose vittime civili. Ed è la ragione per cui in questo caso non sono state date notizie. 18 maggio: attacco a un campo di cricket di Jalalabad City. Otto sono i morti, 50 i feriti, tutti civili. Fra i morti c’è il vice governatore della provincia di Laghman, Syed Nikamal. I Talebani hanno emesso un comunicato in cui si dicono “totalmente estranei all’operazione”, come sempre quando ci sono di mezzo i civili perché i Talebani attaccano solo obbiettivi militari o politici dato che, nella loro guerra di indipendenza, non hanno alcun interesse a inimicarsi la popolazione sul cui appoggio si sostengono da diciassette anni. 21 maggio: attacco a un centro di registrazione degli elettori del distretto di Kheway della provincia orientale di Nangarhar, in vista delle elezioni-farsa del 20 ottobre. Dal 14 aprile, cioè da quando il processo elettorale è stato avviato, oltre 100 persone sono morte e 180 sono rimaste ferite nelle province di Badghis, Nangarhar, Ghowr, Samangan, Khowst, Lowgar e Kabul. 22 maggio: un’autobomba è esplosa a Kandahar City causando la morte di 16 persone e il ferimento di altre 36. 22 maggio notte: 21 agenti di polizia sono morti nel corso di attacchi da parte dei Talebani contro checkpoint in vari distretti della provincia occidentale di Ghazni. Fra le vittime c’è anche il comandante della polizia locale.
Da queste notizie si capisce che l’Isis sta sfondando nell’est del Paese, in particolare a Nangarhar e Kandahar, notorie roccaforti talebane dai tempi del governo del Mullah Omar. Come è noto e come affermava esplicitamente una lettera aperta del Mullah Omar ad Al Baghdadi del giugno 2015, che intimava alla Jihad di non mettere piede in Afghanistan per non confondere una legittima resistenza all’occupazione straniera con i deliri geopolitici, universalistici e totalitari del Califfo, i guerriglieri dell’Emirato Islamico d’Afghanistan, da non confondere col Califfato, si battono contro quelli dell’Isis. E’ evidente che i Talebani dovendo combattere su due fronti, contro gli occupanti occidentali e contro gli jihadisti, perdono inevitabilmente terreno. Se l’Isis, come si afferma di continuo, è il più grave pericolo per il mondo internazionale, occidentale e non, i Talebani dovrebbero essere considerati oggettivamente dei nostri alleati. Questo Putin lo ha capito, anche perché se l’Isis sfonda in Afghanistan si avvicina pericolosamente alla Russia, e ha riconosciuto ai Talebani lo status di “gruppo politico e militare”, quindi legittimo. Gli americani invece si ostinano a considerare i Talebani dei “terroristi”. La sola speranza è che l’ondivago Donald Trump nonostante abbia chiesto agli inglesi nuove truppe in Afghanistan e lui stesso abbia minacciato di mandarne altre, cambi improvvisamente idea, come spesso gli accade (vedi Corea del Nord), perché attento com’è ai quattrini dei suoi cittadini non ha convenienza a spendere 45 miliardi di dollari l’anno per una guerra che, come ammettono gli stessi strateghi americani, “non si può vincere” e può quindi continuare all’infinito svuotando le pur ricche casse yankee.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2018