Lo strapotere degli States
L’esordio del nuovo governo italiano in un consesso internazionale, il G7 di La Malbaie in Canada, non poteva essere più difficile. Il nostro premier, Giuseppe Conte, è stato infatti il primo e finora l’unico leader europeo ad avere il coraggio, nel suo discorso d’investitura al Senato, di avanzare qualche riserva sulle sanzioni che gli Stati Uniti, seguiti dall’Europa, hanno imposto alla Russia per aver occupato la Crimea. C’è stato subito un niet della Nato (che come tutti sanno è un’alleanza a solo uso e consumo degli Stati Uniti) attraverso le dichiarazioni del suo attuale e fantoccio Segretario generale Jens Stoltenberg e dell’ambasciatrice Usa nel quartier generale dell’Alleanza atlantica a Bruxelles, Bailey Hutchinson. Una delle obiezioni per tenere fermo il punto su queste sanzioni è che non si possono violare le leggi di diritto internazionale senza che siano seguite da un’adeguata punizione. Ora, se c’è un Paese che negli ultimi vent’anni ha violato queste norme e agito col massimo disprezzo verso l’Onu, che rappresenta tutti gli Stati del mondo e ne dovrebbe essere il difensore, è proprio l’America. Quando, per esempio, si aggredisce la Serbia per la questione del Kosovo (1999) contro la volontà dell’Onu è poi difficile, avendo creato questo precedente, attaccare la Russia per essersi annessa la Crimea. Anche perché c’è una differenza sostanziale. Il Kosovo era fuori dall’area d’influenza americana e lontanissimo dai suoi confini, tanto che il presidente Clinton per convincere i suoi concittadini della bontà di quella aggressione, giustificata naturalmente in nome dei soliti “diritti umani” pronti per ogni uso, dovette prendere un’enorme carta geografica e con una bacchetta, come un maestrino, indicare loro dove mai fosse questo misterioso Kosovo che nessuno negli States aveva mai sentito nominare. La Russia ha invece occupato un territorio, la Crimea, che se proprio russo non è, era però russofono da sempre.
Si possono poi ricordare l’aggressione e l’occupazione dell’Iraq (2003) contro la volontà dell’Onu e, sempre contro la volontà dell’Onu, quella alla Libia di Muammar Gheddafi le cui conseguenze sanguinano ancora, e sanguineranno per chissà quanto altro tempo, sull’Europa e in particolare sull’Italia.
Per l’Europa e l’Italia un buon rapporto con la Russia di Putin (che è un autocrate se non un dittatore, come tanti altri leader di Paesi nostri alleati e magari membri della Nato, tipo Turchia) è essenziale. Per questioni di vicinanza geografica, energetiche, commerciali e anche, se si vuole, culturali. E ha detto bene, anche se non ha detto tutto, Matteo Salvini quando ha fatto notare che non vede nessuna minaccia della Russia nei confronti nostri e dell’Europa mentre vede benissimo lo sconquasso migratorio nel Mediterraneo provocato proprio dall’aggressione americana, francese e sciaguratamente appoggiata anche da noi italiani (governo Berlusconi). Salvini ha anche aggiunto –ed è il punto su cui ci permettiamo di non essere d’accordo- che la Nato è di questo che dovrebbe occuparsi: Dio ne scampi, più sta lontana dai nostri confini e meglio è. Naturalmente Salvini è stato subito accusato, in particolare da quel bel tipetto di George Soros, di essere a ‘busta paga’ di Putin. E tutta la grande stampa americana è contro il governo Cinque Stelle-Lega. Ha scritto Robert Cohen sull’autorevole New York Times: “Lega e il Movimento 5 Stelle mettono insieme il bigottismo e l’incompetenza a un livello insolito. Sono un gruppo miserabile portato in alto sulla marea globale anti liberale. In breve non vedo nulla da loro propagandato che non mi crei disgusto”. Questo disgusto deriva dal fatto che si capisce bene che il nuovo governo italiano cercherà, nei limiti delle sue forze, di svincolarsi dalla pelosa tutela yankee. Che è poi la stessa posizione di Angela Merkel, anche se con la Germania gli Stati Uniti sono costretti ad andarci più piano e a usare parole meno sprezzanti.
L’arroganza americana nei confronti dell’Europa si vede ancor meglio nella questione iraniana. Il governo degli Stati Uniti ha dato 180 giorni di tempo, a partire dall’8 maggio, alle imprese europee che hanno affari in corso con l’Iran. Siamo ai classici ‘otto giorni’ che si danno alla domestica quando la si licenzia. Gli ambigui francesi hanno subito obbedito: la Total e la Peugeot Citroen “si apprestano –come scrive Stefano Montefiori sul Corriere del 7.6- ad abbandonare le joint venture che avevano creato con le imprese iraniane”. Ma anche l’Italia ha corposi e legittimi interessi in Iran, Eni in testa ma non solo. Noi europei non abbiamo nessun contenzioso aperto con l’Iran e nessun pericolo che può venire dal Paese degli ayatollah. E per spazzare il campo da ogni equivoco il 14 luglio 2015 il cosiddetto gruppo dei 5+1 (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti, tutti membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, più la Germania) hanno firmato a Vienna un accordo sul nucleare iraniano in cui il governo di Teheran si impegnava a non arricchire l’uranio oltre il 20%, quindi mantenendo il nucleare a usi civili, e ad accettare le ispezioni dell’Aia, cosa che peraltro aveva sempre fatto almeno a partire dal 2003, in cambio dell’ammorbidimento delle sanzioni economiche che gli americani avevano imposto a quel Paese. Gli Stati Uniti si sono sfilati da quell’accordo perché da sempre hanno il dente avvelenato contro il regime degli ayatollah, per ragioni ideologiche e in funzione pro Israele la loro ‘longa manus’ in Medio Oriente. Naturalmente, e diremmo logicamente, il governo di Teheran ha minacciato di avviare un programma atomico, cui aveva sempre rinunciato, se anche gli altri protagonisti di quell’accordo, seguendo gli Usa, non vi terranno fede.
C’è poi la questione dei dazi su alluminio e acciaio che gli Stati Uniti hanno imposto anche all’Europa. Ma in questo caso l’Europa è in grado di difendersi perché come scrive Le Monde (ma non c’era bisogno dell’acume di Le Monde, lo avevo scritto anch’io, Il Fatto del 6 giugno) “l’Unione europea è la più grande area commerciale del mondo”.
C’è poi il fatto, come richiamava l’altro giorno Ferruccio Sansa, che i militari americani presenti in Italia, si tratti di Vicenza o di Napoli, possono commettere reati, tra cui stupri, avendo la pressoché totale certezza di rimanere impuniti (si possono ricordare, fra gli altri, fatti ancor più gravi come il Cermis o il rapimento da parte di agenti segreti statunitensi di Abu Omar sul suolo italiano).
Gli Stati Uniti infine non accettano che i loro militari siano giudicati dai Tribunali internazionali per crimini di guerra. Insomma gli americani sono “legibus soluti”. Aggrediscono, occupano, uccidono, ricattano economicamente, puniscono, fanno insomma tutto ciò che gli pare e piace. Ci fa piacere che, per una volta tanto fra gli occidentali, sia stato un italiano, il nuovo premier Giuseppe Conte, ad avanzare una sia pur timida riserva su questa intollerabile prepotenza.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 9 giugno 2018