La decisione di Trump di ritirare il contingente americano (2.000 uomini) dislocato in Siria è double face. Quella positiva è il ritorno, che sotto Trump ha già qualche precedente con la pace con la Corea del Nord, al tradizionale isolazionismo repubblicano che era stato rotto dai due Bush. Con Trump non ci saranno più guerre sciagurate e questo dipende proprio dal nucleo centrale della sua dottrina, quell’“America first” che ha come credo la supremazia dell’economia sulla politica. Perché è proprio per l’economia che i ceti medi americani lo hanno votato facendo piazza pulita degli ipocriti snob, dalla Clinton allo star system di Hollywood. Ci saranno solo, e sono già in atto da quando The Donald è al potere, guerre commerciali (con la Cina, con l’Europa e con qualsiasi altro concorrente). Trump da buon imprenditore è molto attento al quattrino e per lui la geopolitica è solo in funzione dell’economia (avrebbe potuto essere la parte di Berlusconi se non si fosse poi rivelato un delinquente comune, cosa che Trump non è).
E’ quindi comprensibile che Trump non voglia buttar via soldi mantenendo 2.000 uomini sul terreno in Siria, quando l’obbiettivo principale, o almeno quello dichiarato, era l’Isis. L’Isis combattente –e qui Trump ha perfettamente ragione- in Medio Oriente non esiste praticamente più, si è spostato in Pakistan, in Afghanistan, in Cecenia. Questo atteggiamento di Trump può dare anche qualche speranza all’Afghanistan dove gli americani mantengono 14 mila uomini e basi che gli costano 45 miliardi di dollari l’anno. E infatti è proprio di queste ore l’annuncio di Trump di voler ritirare 7 mila uomini dall’Afghanistan, inoltre a Doha ci sono trattative fra emissari talebani e americani con lo scopo di porre fine a una guerra che si trascina, senza risultato, da 18 anni.
Infine, nonostante tutte le sciocchezze sul Russiagate, i rapporti fra Trump e Putin appaiono ottimi. I due hanno preso atto che, dopo il collasso dell’Urss del 1989, i tempi della ‘guerra fredda’, intesa in modo tradizionale, sono finiti. E questo per chi ha vissuto l’epoca dell’’equilibrio del terrore’ è un grande sollievo (si veda il recentissimo film Cold War diretto dal regista polacco Pawel Pawlikowski).
La faccia negativa è il consueto sacrificio dei curdi lasciati in balia della Turchia che certo non si farà sfuggire l’occasione. Già nel lontano 1991 il giornalista americano William Safire scriveva sul New York Times: “Svendere i curdi…è una specialità del Dipartimento di Stato americano”. E se mi è permesso nel 1990 durante la guerra del Golfo avevo scritto un pezzo per l’Europeo intitolato “Chi si ricorda dei poveri curdi”, poi “Perché l’Onu non aiuta i curdi?”(Europeo, 26/4/1991) e in seguito ho scritto decine di pezzi, anche sul Fatto, a favore dell’indipendentismo curdo. La popolazione curda, che è l’unica legittimata ad occupare un territorio che non a caso si chiama Kurdistan, è divisa arbitrariamente fra quattro Stati, Iraq, Iran, Siria e Turchia. Quest’ultima ha sempre condotto una guerra spietata all’indipendentismo curdo perché nel Paese ora governato in modo dittatoriale da Erdogan i curdi sono circa 14 milioni e la Turchia ha sempre temuto che l’indipendentismo curdo sparso nei vari Stati si potesse unire. Nel 1988 la Turchia siglò un patto leonino con Saddam Hussein che prevedeva che gli eserciti turchi e iracheni potessero uscire dai propri confini dando la caccia ai guerriglieri curdi la cui debolezza è sempre stata quella di essere divisi fra il PDK di Barzani e il PKK di ispirazione comunista guidato sino alla fine degli anni ’90 da Ocalan che poi, rifugiatosi in Italia, fu vergognosamente consegnato alla Turchia dal governo D’Alema. Con i curdi si è sempre fatta la politica dell’’usa e getta’. Nella guerra all’Isis, in cui sono stati determinanti perdendo nei combattimenti contro i feroci guerriglieri di Al Baghdadi, forse oggi i migliori del mondo perché a loro nulla importa di morire, 10 mila uomini. Diecimila, mentre noi organizziamo funerali di Stato, esagerati e alla fine anche fastidiosi, alla presenza di Mattarella e del nostro premier, per un solo morto. Attualmente i curdi hanno nelle loro mani dai 3.000 ai 5.000 prigionieri dell’Isis, perché i guerriglieri del Califfato hanno preferito consegnarsi a loro, riconoscendosi in qualche modo negli stessi valori tradizionali, piuttosto che agli iracheni o agli americani per non finire come gli afghani a Guantanamo. In quanto agli Usa hanno sempre sorvolato sulle infinite violenze fatte dal governo turco sugli indipendentisti curdi dentro e fuori il proprio Paese. L’appoggio degli Usa all’alleato turco, anche se oggi questa alleanza è un po’ traballante, è sempre stata una costante americana e non si può quindi accusare solo Donald Trump se continua questa politica, moralmente ripugnante ma di lunghissimo corso.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2018