Considero un successo personale la dichiarazione del ministro Trenta di aver dato disposizione al Coi di “valutare l’avvio di una pianificazione per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan”. Sono stato l’unico giornalista, non solo italiano ma occidentale, ad aver contestato fin dal 2001, anno dell’invasione degli americani in Afghanistan, questa aggressione che darà poi la stura a una serie di altre, dall’Iraq alla Somalia alla Libia alla Siria. L’invasione fu pretestuosa. I Talebani non c’entravano nulla con l’attacco alle Torri Gemelle. Non un solo afgano era presente sugli aerei che colpirono le Torri e il Pentagono, non un solo afgano fu in seguito trovato nelle cellule, vere o presunte, di al Qaeda. Bin Laden i Talebani se lo erano trovato in casa quando presero il potere nel 1996. Ce lo aveva portato, dal Sudan, Massud per combattere un altro ‘signore della guerra’, Heckmatyar. E quando nell’inverno del 1998 Clinton propose al Mullah Omar di far fuori Bin Laden, Omar accettò la proposta perché nel frattempo gli americani, cercando di colpire Bin Laden, stavano facendo strage di civili afgani. Ma all’ultimo momento Clinton si ritirò (documenti del Dipartimento di Stato). Tra l’altro nei giorni seguenti all’attentato del 2001, mentre tutte le folle arabe scendevano in piazza esultanti, il governo talebano mandò un telegramma di condoglianze agli Stati Uniti e al popolo americano.
Per anni mi sono beccato accuse di favoreggiamento dei ‘terroristi’, che terroristi non erano ma indipendentisti che si battevano per la libertà del loro Paese contro l’invasione straniera. Della mia biografia sul Mullah Omar fu chiesto il sequestro. Nel 2015 il Corriere rifiutò un mio necrologio che rendeva onore al Mullah Omar, questo straordinario uomo e combattente, che si era battuto giovanissimo contro gli invasori sovietici, perdendo un occhio in battaglia, che aveva sconfitto i ‘signori della guerra’ che avevano fatto dell’Afghanistan terra di assassinii, di stupri e di violenze di ogni genere sulla popolazione, che aveva dato gli unici sei anni di pace alla sua terra, e che era stato il leader prestigioso della resistenza agli occupanti occidentali.
Gli italiani non hanno mai veramente combattuto in Afghanistan. Le nostre perdite si limitano a 53 uomini infinitamente inferiori non solo a quelle degli americani, ma a quelle degli inglesi, che quando fan le cose le fan sul serio, e persino degli olandesi. Noi fin da subito ci siamo accordati con i Talebani. Perché ci lasciassero in pace li pagavamo. Fedeli come cani, come sempre, sleali come sempre. Questo accordo fu denunciato nel 2004 dal colonnello dei marines Tim Grattan che affermò: “Ora tocca agli italiani fare la loro parte. Stringere patti con i comandanti talebani è perdente. I nemici si combattono e basta”. Gli olandesi si sono ritirati nel 2010, i canadesi un anno dopo.
Che gli italiani si ritirassero dall’Afghanistan lo avevo chiesto alla Versiliana di due anni fa a Di Battista, che però allora era solo un parlamentare. Questa richiesta l’ho ripetuta quest’anno, sempre alla Versiliana, a Di Maio che era già vicepresidente del Consiglio. E Di Maio si era pubblicamente impegnato. L’affermazione di Elisabetta Trenta segue evidentemente questo impegno ed è stata anche avvallata dal premier Conte. Questo ritiro era dovuto, non solo e non tanto per i 7 miliardi spesi in questa guerra vergognosa, ma per una ragione etica: non si aggredisce e non si occupa un Paese senza una ragione che non sia quella di servire gli americani.
Naturalmente il preannuncio di Trump di ritirare 7 mila soldati dall’Afghanistan e di conseguenza quello della Trenta non significano che in Afghanistan si arrivi a una vera pace, cioè che l’Afghanistan sia restituito agli afgani. Gli americani hanno posto alcune condizioni. 1. Che i Talebani combattano l’Isis. 2. Garantire il cessate il fuoco. 3. Colloqui diretti col governo di Kabul. La prima condizione è ridicola. I Talebani combattono l’Isis dal giorno in cui gli islamisti radicali, con la nostra compiacenza per non dire complicità, sono penetrati in Afghanistan. 2. Il fuoco lo devono innanzitutto cessare gli americani, inoltre devono ritirare dall’Afghanistan non solo i loro contingenti a terra ma le basi che hanno in territorio afgano, perché questa è la volontà dell’intera popolazione afgana, talebana, non talebana, antitalebana. 3. I Talebani non accetteranno mai questa condizione perché considerano Ashraf Ghani un fantoccio al servizio degli americani come in precedenza il più criminale Karzai.
Siamo quindi ancora lontani da una vera pace. Se finalmente ci sarà, sarà un trionfo postumo del Mullah Omar e io voglio concludere questo articolo come concludevo il mio necrologio: “Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar”.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2019