Luigi Di Maio non doveva incontrare a Montargis, in Francia, alcuni leader dei Gilet gialli, fra cui Christophe Chalençon che è uno dei più estremisti, che si oppongono, a volte anche con la violenza, al governo Macron. Non vale l’escamotage –così spesso usato anche da Salvini- che questo incontro Di Maio lo ha voluto come capo politico dei Cinque Stelle e non come vicepresidente del governo italiano. Un uomo che fa parte delle Istituzioni, per soprammercato a così alto livello, non può parlare e agire come privato cittadino o peggio ancora come leader di un partito, quando parla e si muove lo fa sempre come rappresentante del governo italiano. E’ stata quindi giusta la reazione di quello francese a una inammissibile intromissione da parte di un soggetto istituzionale negli affari interni della Francia.
Precisato questo bisogna dire che i francesi hanno una bella faccia tosta e sono in perenne contraddizione con se stessi. Se Di Maio non si può intromettere negli affari interni della Francia, per lo stesso motivo la Francia non si può intromettere, come invece sta facendo insieme ad altri Paesi europei, negli affari interni del molto più lontano Venezuela. Ma anche Di Maio è in piena contraddizione. Il governo italiano, secondo me giustamente come ho scritto in vari articoli, ha preso una posizione di neutralità nello scontro che oppone Guaidò al presidente Maduro. Ma per la stessa ragione deve astenersi dal prendere posizione a favore dei Gilet gialli contro il presidente Macron.
In quanto allo scontro in atto con i cugini d’oltralpe (in realtà “fratelli coltelli”) origina principalmente dall’intervento francese in Libia supportato dal solito ‘amico americano’ ma appoggiato anche, sciaguratamente, dal governo italiano, presidente Berlusconi. Quell’intervento del tutto illegittimo e che ha eliminato politicamente con la violenza il colonnello Gheddafi e poi lo ha ucciso nel più barbaro dei modi, con un linciaggio a cui erano presenti i soldati transalpini, aveva il solo scopo di sottrarre all’Italia la primazia economica in Libia. Il solo rappresentante del governo italiano che ha ricordato questo precedente è stato il sempre molto criticato –francamente non capisco per quali ragioni- ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli: “E’ un peccato che la Francia non chieda scusa per l’intervento in Libia del 2011”. E’ quindi molto comprensibile che gli italiani abbiano motivi di malumore nei confronti dei francesi visto anche che quell’intervento si è rivelato per noi un danno non solo economico, ma oserei dire epocale riversando sulle nostre coste centinaia di migliaia di disperati che partono da una Libia totalmente fuori controllo.
Ma c’è qualcosa di più, che non riguarda solo noi italiani. Io non credo ai Tribunali internazionali deputati a giudicare dei “crimini di guerra”, ma visto che esistono Sarkozy, Obama e lo stesso Berlusconi dovrebbero essere trascinati davanti a un tribunale di questo genere perché l’illegittima e immotivata aggressione alla Libia di Gheddafi, con tutto ciò che ne è seguito, dovrebbe essere considerata un “crimine di guerra” da chi crede a questo tipo di reati. Naturalmente questo non avverrà mai proprio perché tali tribunali sono i soliti “tribunali dei vincitori” alle cui spalle sta il processo di Norimberga attraverso il quale i vincitori, per la prima volta nella Storia, non si accontentarono di essere più forti dei vinti ma pretesero anche di esserne moralmente superiori. Così non è stato, visto quello che hanno fatto, dopo la fine della guerra mondiale, gli americani, i sovietici, gli inglesi e gli stessi francesi che furono i primi, quando non si era ancora spenta l’eco delle nobili parole pronunciate a Norimberga secondo le quali la guerra avrebbe dovuto essere espunta dalla vita della società internazionale, a soffocare con l’atroce brutalità di sempre un disperato tentativo del Madagascar di liberarsi delle manette coloniali.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2019