Domenica a Tirana l’opposizione ha portato in piazza 50 mila persone, non poche per un Paese con meno di tre milioni di abitanti, proporzionalmente molte di più di quelle mosse dall’opposizione in Venezuela che di abitanti ne ha 32 milioni, contestando il Presidente albanese Edi Rama. Alcuni dei manifestanti sono riusciti a penetrare nel palazzo del governo. Ci sono stati scontri con la polizia con un bilancio di cinque o sei feriti. Immediatamente l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno condannato l’opposizione e le sue violenze. Curioso. Perché la situazione albanese è quasi speculare a quella venezuelana. Sia Edi Rama che Maduro sono al loro secondo mandato, eletti per la prima volta nel 2013, la seconda nel 2017. Entrambe le opposizioni sostengono che le elezioni del 2017 sono state taroccate, con l’aggravante però per Edi Rama di aver comprato i voti con i soldi dei narcotrafficanti, contestazione che a Maduro non viene mossa. In quanto alle violenze, in Venezuela, prima che gli americani si inventassero il carneade Guaidò ‘presidente ad interim’ che dovrebbe condurre il Paese a nuove e libere elezioni, c’erano stati scontri fra le opposte fazioni, cioè fra i contestatori e i sostenitori di Maduro (non scontri fra oppositori e la polizia o l’esercito) che avevano fatto 147 vittime, equamente divise fra le due parti. Se la matematica non è un’opinione le violenze dell’opposizione venezuelana sono state di gran lunga superiori a quelle dell’opposizione albanese. A Maduro come capo d’accusa principale resta quindi il fatto che sarebbe autore di una sorta di ‘colpo di Stato istituzionale’ avendo esautorato il Parlamento in favore di un’Assemblea costituente sotto il suo controllo e che quindi Guaidò sarebbe il legittimo ‘presidente ad interim’. Ma anche questo è controverso. Cioè non è certo che la mossa di Maduro vada contro i dettami della Costituzione venezuelana. Mentre è certo, sempre secondo questa Costituzione, che Guaidò non ha alcuna legittimità come ‘presidente ad interim’.
In ogni caso Maduro deve essere un dittatore ben strano. L’altra sera in una ricca casa milanese era stato organizzato un collegamento televisivo con una giornalista venezuelana, dell’opposizione naturalmente, che diceva le peggiori nefandezze su Maduro, descrivendolo come un gangster, per soprammercato anche comunista e se non mangiava i bambini poco ci mancava. Le ho chiesto dove si trovasse. “In Venezuela” ha risposto. Le ho chiesto anche se stesse trasmettendo da una Tv locale. Ha risposto affermativamente. Le ho fatto allora notare che evidentemente non tutto il sistema dei media era in mano al regime. Ho sottolineato ancora che in una dittatura vera e propria esponenti dell’opposizione non potrebbero uscire liberamente dal Paese, come hanno fatto quelli che sono venuti in Italia a perorare la loro causa col nostro ministro degli Esteri, e tantomeno potrebbero rientrarvi senza andare dritto e di filato in gattabuia, come succederebbe a Puigdemont costretto all’esilio dalla pur democratica Spagna.
In ogni caso sia l’opposizione venezuelana che quella albanese chiedono nuove elezioni, libere e al più presto. Ma mentre l’Unione europea e gli Stati Uniti considerano le nuove elezioni un obbligo per Maduro, pena la defenestrazione ‘manu militari’ da parte americana, nessuno si sogna di imporre lo stesso obbligo al Presidente albanese Edi Rama che anzi le ha escluse tassativamente.
In Albania sia Edi Rama che il capo dell’opposizione Basha si accusano reciprocamente di corruzione. Ed è probabile, per non dir certo, che abbiano ragione entrambi. L’Albania democratica è infatti uno dei Paesi più corrotti al mondo in cui la criminalità organizzata, sotto varie forme, spadroneggia a tutti i livelli. Dell’Albania comunista, chiusa nel suo maoismo integrale, si è sempre saputo pochissimo. Ma è difficile pensare che, proprio per questa chiusura, potesse intessere traffici di stupefacenti e di armi con i Paesi al di là dell’Adriatico, come avviene oggi con la Sacra corona unita. Inoltre quell’Albania era sicuramente povera ma non miserabile. Tutti, o almeno quelli che hanno l’età per farlo, ricordiamo la prima emigrazione albanese del 1990/91, quando gli abitanti del ‘Paese delle Aquile’, caduto il regime, si riversarono sulle nostre coste attratti dalle bellurie occidentali che avevano potuto finalmente vedere in televisione. Erano contadini, pastori, allevatori, ben nutriti e nient’affatto in male arnese. Oggi in Albania ci sono sperequazioni sociali spaventose fra minoranze criminali, politiche e non, e il resto della popolazione. Inoltre il cancro della criminalità albanese è stato esportato, con varie metastasi, nel resto dei Balcani, in Bosnia, in Kosovo. E’ una conseguenza della guerra americana a Belgrado del 1999 che intendeva sostituire la ‘Grande Serbia’ sognata da Milosevic con una ‘Grande Albania’. Operazione riuscita. Peccato che Milosevic fosse una sorta di ‘gendarme’ dei Balcani che teneva in qualche modo sotto controllo le organizzazioni criminali, mentre adesso queste organizzazioni (trafficanti di droga, di armi, di uomini) sono concresciute in modo vertiginoso e vanno a concludere i loro primi affari nel Paese ricco più vicino, l’Italia. L’intenzione degli americani era di creare nei Balcani una sorta di filiera di musulmanesimo moderato (Albania + Bosnia + Kosovo) a favore del loro grande alleato di sempre, la Turchia, questa grande portaerei naturale collocata fra Europa e Medio Oriente. Ma oggi la Turchia sembra molto più alleata dei russi che degli americani, che pur vi mantengono la grande base aerea di Incirlik, e che nel cosiddetto islamismo moderato si siano incistate numerose cellule dell’Isis.
Infine una notazione che ci riguarda. Si ribellano i francesi (Gilets jaune), si ribellano gli albanesi, si ribellano i serbi, si ribellano i rumeni che alcuni mesi fa, con dimostrazioni violente, hanno ricacciato in gola al governo una legge ‘salvacorrotti’. I nostri giovani, pallidi, estenuati, evanescenti, non muovono invece boccia, accettando ogni sorta di sopruso. Io li manderei a fare degli stage non alla Bocconi, ma in Iraq o in Afghanistan o fra i curdi, per recuperare quello che oggi totalmente manca loro: le palle.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 19 febbraio 2019