C’è molta confusione sotto i cieli del governo italiano sulla posizione, economica, strategica, geopolitica, da prendere nella guerra in corso fra Stati Uniti e Cina, le due superpotenze attualmente dominanti, una in fase calante, l’altra emergente. Il ‘sovranista’ Salvini, in coerenza con se stesso, sembra preoccupato per la penetrazione economica della Cina in Italia, peraltro già in atto da tempo, dall’altra, in perfetta incoerenza con se stesso, si sottomette ai voleri, o per meglio dire ai diktat, degli americani. I 5Stelle sembrano molto più morbidi, soprattutto per esigenze economiche, nei confronti della Cina e della sua ‘Via della Seta’ e più ostili agli Stati Uniti che dell’Italia hanno fatto colonia a partire dalla vittoria nella Seconda guerra mondiale, come dimostrano anche i forti dubbi che il nostro ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha espresso sul noto acquisto degli F-35 in cui l’Italia è impegnata, ma in subordine agli americani. Nessuno comunque, né il premier Conte, né il vicepresidente 5Stelle Di Maio, né il presidente della Repubblica Mattarella, mette in dubbio la fedeltà transatlantica dell’Italia di cui la Nato, sotto il profilo della difesa, è insieme il simbolo e il concreto strumento.
Molto più netta è la posizione della Germania. Innanzitutto Berlino una sua ‘Via della Seta’ l’ha già realizzata sia pur in termini ferroviari. Come ha detto Giuseppe Conte in una intervista al Corriere: “Il terminale ferroviario della Belt and Road è già individuato in Germania, a Duisburg, a riprova di una collaborazione tra Berlino e Pechino ben più avanzata della nostra”.
Durissima è stata la reazione tedesca al diktat americano che minaccia pesanti ritorsioni se Berlino, e con essa l’Europa, dovesse favorire una qualche penetrazione cinese nel campo dell’intelligence, vale a dire i 5G, il network superveloce della telefonia mobile. L’ambasciatore americano a Berlino, Richard Grenell, aveva inviato nei giorni scorsi una lettera al ministro dell’Economia tedesco in cui diceva che “le società controllate da Pechino come Huawei o Zte potrebbero compromettere gli scambi di informazioni segrete e confidenziali tra i Paesi alleati e quindi gli Usa prenderebbero contromisure per limitare la cooperazione con la Germania nel campo della difesa e dell’intelligence, compresa quella all’interno della Nato”. Curiosa affermazione visto che non più di un anno fa si è scoperto quello che tutti sapevano: che gli Stati Uniti spiano da tempo, da sempre, le informazioni di intelligence fra i Paesi europei loro alleati. Comunque la risposta di Angela Merkel non si è fatta attendere: “Per il governo federale la sicurezza è un bene supremo, anche nella costruzione del 5G. Ecco perché definiamo da soli i nostri standard”. Ancora più esplicita la replica del segretario del gruppo parlamentare Cdu-Csu, Michael Grosse-Broemer: “Non abbiamo bisogno di suggerimenti o minacce da parte dell’ambasciatore americano per decidere passi sensati in tema di sicurezza nazionale”. Del resto sui reali rapporti con gli Stati Uniti Angela Merkel aveva, come sempre, anticipato tutti. Nel maggio 2017 aveva affermato: “I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono finiti. Noi europei dobbiamo veramente prendere il nostro destino nelle nostre mani. Naturalmente dobbiamo avere relazioni amichevoli con gli Stati Uniti e il Regno Unito e con altri vicini, inclusa la Russia. Dobbiamo essere noi stessi a combattere per il nostro futuro”. Era una chiara presa di distanza dagli Usa, dal Patto Atlantico e da quella Nato che è stato uno dei principali strumenti, se non addirittura il principale, con cui gli americani hanno tenuto, e ancora tengono, in stato di minorità l’Europa, dal punto di vista militare, politico, economico, culturale (in quest’ultimo caso anche attraverso la predominante diffusione della lingua anglosassone). Ma questa presa di distanza era cominciata già molto tempo prima. La Germania non ha partecipato all’aggressione all’Iraq del 2003, non ha partecipato all’aggressione alla Libia, è assente sul quadrante siriano.
Il nocciolo della questione posto da Merkel è quindi quello di una reale autonomia militare europea e, in prospettiva, di una uscita dalla Nato, questa alleanza sperequata che è sotto il totale controllo degli Stati Uniti e che ha trascinato l’Europa in avventure militari che si sono rivolte regolarmente contro di essa (la Libia è un esempio che dovrebbe essere chiaro a tutti). Senza un’autonomia militare non c’è né autonomia politica, né autonomia economica.
L’attuale conflitto economico fra Stati Uniti e Cina potrebbe essere per l’Europa l’occasione favorevole per sciogliere l’alleanza con un Paese, gli Stati Uniti, che sta a 10mila chilometri di distanza da noi, che è un competitor economico sleale, oltre che minaccioso, e per prendere una posizione di equidistanza fra Stati Uniti, Russia e Cina. Occidente è oggi un termine che non ha più alcun senso. Noi siamo europei e, se si esclude la Gran Bretagna che fortunatamente si è data, abbiamo una tradizione culturale che affonda le sue radici molto più lontano nel tempo e che con quella americana ha poco o nulla a che vedere. Sta quindi finalmente a noi, come dice Merkel, “prendere in mano il nostro destino”.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 19 marzo 2019