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Dando il via alla collana I grandi processi della storia il Corriere inizia col più clamoroso: quello di Norimberga. Il volume è interessante, ma più interessanti sono le contorsioni di Pierluigi Battista, che ne fa l’introduzione, per legittimare dal punto di vista giuridico, oltre che morale, un processo che legittimo non era. Infatti per la prima volta nella Storia i vincitori non si accontentarono di essere i più forti, ma pretesero di essere anche moralmente migliori dei vinti tanto da poterli, appunto, giudicare, facendo così coincidere il diritto con la forza, la forza del vincitore.

Dubbi sulla legittimità dei processi di Norimberga e di Tokyo si ebbero fin dall’inizio e proprio da parte democratica e liberale. Scriveva l’americano Rustem Vambery, docente di diritto penale, su The Nation del 1/12/1945: “Che i capi nazisti e fascisti debbano essere impiccati e fucilati dal potere politico e militare, non c’è bisogno di dirlo; ma questo non ha niente a che vedere con la legge. Giudici guidati da ‘sano sentimento popolare’, introduzione del principio di retroattività, presunzione di reato futuro, responsabilità collettiva di gruppi politici e razziali, rifiuto di proteggere l’individuo dall’arbitrio dello Stato, ripristino della vendetta tribale, tutti questi erano i punti salienti di quella che la Germania di Hitler considerava legge. Chiunque conosca la storia del diritto penale sa quanti secoli, quanti millenni, ci sono voluti perché esattamente il contrario di questa prassi nazista fosse universalmente riconosciuto come parte integrante del diritto e della giustizia. Sfortunatamente i capi d’accusa formulati dal Tribunale militare internazionale contro i principali criminali di guerra ricordano il diritto hitleriano”. E Benedetto Croce, che ha una patente liberale un po’ più consistente di quella di Battista, affermava in un discorso alla Costituente il 24 luglio 1947: “Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai giorni nostri (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo) i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituito per giudicare, condannare e impiccare, sotto nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente da ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni di loro e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra”.

Come si vede non si contestava la potestà dei vincitori di punire i vinti, come s’è sempre fatto da che mondo è mondo, ma di farlo nelle forme del processo, della legge, del diritto. Più possibilista era The Guardian, anch’esso di solida tradizione liberale che scriveva nel 1946: “Il processo di Norimberga apparirà giusto o sbagliato nella Storia a seconda del futuro comportamento delle nazioni che ne sono responsabili”. Purtroppo questo “futuro” è stato atroce. Non si era ancora spenta l’eco di quei processi che già le truppe francesi soffocavano con la brutalità di sempre un disperato tentativo del Madagascar di liberarsi delle manette coloniali. Ciò era nulla rispetto a quello che avrebbero fatto poi Usa e Urss. In quarant’anni le due Superpotenze hanno messo a ferro e fuoco il Sud-Est asiatico, usato il napalm e armi chimiche in Vietnam, combattuto guerre in Medio Oriente per interposta persona e sulla pelle altrui, “suicidato” Masaryk e Allende, schiacciato nel sangue la rivolta ungherese, invaso la Cecoslovacchia, difeso e sostenuto i più feroci, sanguinari e criminali dittatori, salvo poi dismetterli quando non più presentabili, organizzato decine di colpi di Stato, fomentato e guidato, attraverso il Kgb e la Cia, una buona fetta di terrorismo internazionale e messo il loro tallone e accampato le loro pretese egemoniche su ogni angolo del mondo. Infine dopo il crollo dell’Urss del 1989 sono venute le guerre di paternità esclusivamente americana: aggressione alla Serbia del 1999, invasione (2001) e occupazione dell’Afghanistan che dura tuttora, aggressione nel 2003 all’Iraq, aggressione nel 2006/2007 alla Somalia, aggressione nel 2011, in combutta con gli immacolati francesi, alla Libia e adesso il tentativo, tuttora in atto, di strangolare il Venezuela colpevole d’esser rimasto socialista.

Ma forse il peggio è che i precedenti di Norimberga e di Tokyo hanno legittimato la costituzione di Tribunali militari per “crimini di guerra”, tipo quello costituitosi all’Aia, altrettanto illegittimi come dimostra il fatto che a finirvi sono regolarmente i vinti e mai i vincitori (peraltro gli americani si sono attribuiti il privilegio di esserne esentati, loro “crimini di guerra” non ne commettono).

Oggi ai dubbi formulati da The Guardian e alla domanda posta nel 1986 dal ministro giapponese Masayuki Fujio “i vincitori hanno il diritto di giudicare i vinti?”, si può rispondere, con molta amarezza ma con tranquilla coscienza: no.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 5 aprile 2019