In un dossier riservato di un’agenzia federale statunitense del 2015 che ha raccolto centinaia di testimonianze venuto ora alla luce grazie al Washington Post, il generale Douglas Lute, comandante in Afghanistan sotto le amministrazioni Bush e Obama, ha dichiarato: “Eravamo privi delle conoscenze basiche sull’Afghanistan, non sapevamo cosa stavamo facendo, non ne avevamo la minima idea”.
Gli americani hanno invaso e occupato l’Afghanistan senza conoscerne la mentalità, i costumi, l’organizzazione sociale e neppure la sua storia. Il primo errore lo commisero già al tempo del governo talebano del Mullah Omar che gli Stati Uniti videro sulle prime con favore perché avendo Omar sconfitto i “signori della guerra” potevano avere un unico interlocutore per trattare l’affare che in quel momento gli interessava e cioè la costruzione del lunghissimo gasdotto (1.800 chilometri) che dal Turkmenistan porta al Pakistan, e quindi al mare, attraversando l’intero Afghanistan. Al gasdotto era da tempo interessata la Unocal, potentissima multinazionale americana nella quale erano presenti Dick Cheney, Condoleezza Rice e altri pezzi grossi che di lì a poco avrebbero fatto parte dell’amministrazione di George W. Bush. I rappresentanti della Unocal arrivarono a Kabul con la solita prepotenza, dando l’affare per già concluso: come potevano quegli “straccioni” opporsi? Non sapevano che agli afghani piace trattare per giorni e giorni davanti a una fumante tazza di tè. Bisogna avere la pazienza di stare seduti a quel tavolo. La ebbero quelli della Bridas argentina, una società a conduzione familiare ma molto esperta e quotata nel settore, diretta dall’italiano Carlo Bulgheroni. Con gli italoargentini, più rispettosi, più ‘italiani’, si instaurò un ottimo rapporto e il Mullah Omar decise di affidare il colossale affare alla Bridas. Causa non ultima, questa, insieme alla decisione, sempre di Omar, di azzerare nel 2000 la coltivazione del papavero e quindi il traffico di stupefacenti, dell’aggressione americana all’Afghanistan. Gli americani presero il pretesto dell’attacco terrorista alle Torri Gemelle per invadere il Paese. Ma era appunto un pretesto perché come è saltato fuori da un’accuratissima inchiesta del Guardian, e come noi abbiamo scritto da sempre, “gli attacchi dell’11 settembre si fecero all’insaputa dei leader talebani dell’epoca”.
Gli americani non hanno tenuto conto che la società afghana è organizzata in grandi clan ognuno con i propri interessi, anche se Omar aveva cercato, riuscendovi, di dare al Paese un diritto uniforme basato sul Corano. Quante volte in questa interminabile guerra gli americani hanno attaccato un clan neutrale, cioè che non stava né con i Talebani né con gli occupanti? Se tu uccidi un uomo di un clan del genere non hai semplicemente ucciso un uomo ma ti sei fatto d’un sol colpo duemila o tremila nemici che sono andati a unirsi alla resistenza talebana.
Non sapevano neanche che è abitudine degli afghani durante un matrimonio sparare in aria coi kalashnikov (in Afghanistan tutti hanno un kalashnikov). E così sono decine le volte che gli americani, scambiando un matrimonio per un raduno di guerriglieri, hanno raso al suolo oltre agli sposi i loro ospiti. E costoro, o per meglio dire i loro parenti rimasti in vita, sono andati a unirsi ai Talebani.
Ma la cosa che ha mandato letteralmente in bestia la gente afghana, popolo fiero, orgoglioso e guerriero, è il modo di combattere, o per essere più precisi di non combattere, degli americani con i bombardieri e successivamente con i droni teleguidati da diecimila chilometri di distanza. Gli afghani sono sempre stati abituati a combattere avendo l’avversario di fronte, questo nemico invisibile e imprendibile non poteva andare loro a sangue. Ed è per tutta questa serie di motivi che i Talebani hanno potuto riconquistare chi dice il 70 chi l’80 per cento del loro territorio, soprattutto nelle zone rurali che rappresentano il 90 per cento del Paese. Inoltre hanno sempre confuso e continuano a confondere i Talebani con l’Isis, permettendo al terrorismo internazionale di penetrare in Afghanistan, mentre i Talebani, oltre a combattere l’Isis, non si sono mai resi responsabili di attacchi fuori dal loro territorio.
Gli americani non hanno avuto presente nemmeno la storia, passata e recente, dell’Afghanistan. Con tre guerre successive, e sia pure con lunghi intervalli, gli afghani ci hanno messo ottant’anni per liberarsi dell’Impero inglese. Con i sovietici sono bastati dieci anni e del resto i russi hanno avuto il buonsenso di ritirarsi avendo capito che era inutile continuare una guerra che non potevano vincere. Adesso tocca agli americani e alle loro frattaglie, fra cui purtroppo ci siamo anche noi italiani. Ma gli americani si illudono se pensano di poter coinvolgere nelle trattative con i Talebani attualmente in corso a Doha nel Qatar il governo di Ashraf Ghani. Ghani, laureatosi presso l’American University, che si è perfezionato successivamente alla Columbia University, funzionario della Banca Mondiale è di cultura yankee e solo un po’ più decente del suo predecessore Hamid Karzai, trafficante di droga insieme al fratello. Quando Karzai divenne per la prima volta presidente nel 2004, in elezioni farsa, la stampa internazionale non trovò di meglio che nominarlo “uomo dell’anno” per l’eleganza del suo abbigliamento. Questa “eleganza” è costata agli afghani centinaia di migliaia di morti. Ma se Ashraf Ghani è personalmente un po’ meglio di Karzai non migliore è il suo entourage: corrotta è l’intera amministrazione pubblica, corrotta è la polizia, corrotta è la Magistratura tanto che è da tempo che gli afghani nelle aree rurali preferiscono affidarsi alla giustizia talebana. Ciò ha fatto dire nel 2016 al colonnello Christopher Kolenda che la democrazia che gli americani volevano imporre in Afghanistan si era trasformata in una “cleptocrazia”.
Tu non combatti diciotto anni, con perdite rilevantissime fra guerriglieri e civili, per trovarti ancora sulla testa un fantoccio degli americani. E quindi la guerra continua. Solo due giorni fa un furgoncino-bomba è stato fatto saltare in aria da un guidatore kamikaze, uccidendo almeno 10 militari governativi di stanza presso una base del distretto di Nad Ali, nella provincia di Helmand, notoriamente talebana da sempre.
L’unico modo per porre fine a questa guerra priva di alcuna autentica legittimità, immorale, oscena, è che le truppe occupanti se ne vadano al più presto. Poi saranno gli afghani a vedersela fra di loro. Il solo modo per salvare l’Afghanistan, come disse saggiamente il generale sovietico che aveva guidato l’invasione russa in quel Paese (guarda da chi ci tocca prendere lezioni) è che “gli afghani si salvino da soli”.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2019