Nell’omelia di domenica papa Francesco ha ricordato che il Natale “è la festa della famiglia”. Peccato che la famiglia non esista più. Dagli anni cinquanta in Occidente e nei paesi che hanno adottato il suo modello di sviluppo, siamo sotto il cosiddetto “livello di sostituzione”, quel 2,1 di fertilità per donna che consente che la popolazione rimanga stabile. In Portogallo il tasso di fertilità per donna è dell’1,2, in Germania 1,5, in Canada 1,6, a Singapore 1,2, a Hong Kong 1,3, in Giappone 1,5, in Corea del Sud 0,89, a Taiwan 1,2 e in Italia, che occupa il terzultimo posto in questa classifica sinistra, è dell’1,3. Le ragioni di questa infertilità sono così numerose che non è possibile metterle tutte a fuoco in questa sede. Ne citiamo alcune: economiche, psicologiche, sociali. Più è alto il livello di istruzione più è bassa la fertilità. Le donne, avendo raggiunto, in linea di massima, la sacrosanta parità dei diritti, riluttano a far figli abbandonando la funzione antropologica di madri. Convinte dalla scienza medica che tutto è possibile, rimandano l’età del concepimento verso i quarant’anni. Ma avere il primo figlio a quell’età non è facile, ancora più difficile è seguirlo a meno che non si sia così ricchi da avere un esercito di ‘tate’.
Più in generale in Occidente non siamo più capaci di soffrire e quindi di affrontare quelli che i filosofi chiamano “i nuclei tragici dell’esistenza”: il dolore, la vecchiaia, la morte.
Premesso che in una società individualista qual è la nostra ognuno è libero di fare della propria vita ciò che più gli aggrada tutto ciò che abbiamo fin qui cercato di descrivere ha delle pesanti conseguenze sociali ed economiche. Sociali. Nei paesi che abbiamo citato c’è, se non la maggioranza, un numero molto consistente di vecchi. Cesare Musatti, lo psicologo, a più di novant’anni e quindi al di sopra di ogni sospetto, diceva: “vivere in un mondo di vecchi mi sembrerebbe spaventoso”. Economiche. Non è lontano il tempo in cui il numero dei giovani non sarà più in grado di sostenere le pensioni dei vecchi e questo è un problema che, come noto, assilla anche l’Italia. La vita si è allungata troppo. E’ uno degli effetti “paradossi “ della Ragione o, se si vuole, della Scienza, come quelle medicine che intendendo curare una malattia la aggravano. A titolo di consolazione, sui media, si fa gran parlare di vecchiaie estreme in buona salute come quella di Gillo Dorfles in piena lucidità fino ai suoi centosette anni. Ma questi sono casi eccezionali. Nella norma i vecchi non sono autosufficienti e ricadono sulla testa dei figli stretti nella morsa fra l’affetto per i genitori e un accudimento che gli rende la vita impossibile o quasi. Scriveva Max Weber ne Il lavoro intellettuale come professione che è del 1919: “Il presupposto generale della medicina moderna è – in parole povere – che sia considerato positivo, unicamente come tale, il compito della conservazione della vita e della riduzione al minimo del dolore. E ciò è problematico… La scienza medica non si pone la domanda se e quando la vita valga la pena di essere vissuta . Tutte le scienze naturali danno una risposta a questa domanda: che cosa dobbiamo fare se vogliamo dominare tecnicamente la vita? Ma se vogliamo e dobbiamo dominarla tecnicamente , e se ciò, in definitiva, abbia veramente un significato, esse lo lasciano del tutto in sospeso oppure lo presuppongono per i loro fini.”
A petto della situazione dei paesi occidentali o occidentalizzati quella dei paesi cosiddetti “in via di sviluppo” è la seguente: Nigeria, tasso di fertilità 5,4 per donna, Mali 5,9, Ciad 5,8, Burkina Faso 5,2, Niger 7,2. In Medio Oriente il tasso di fertilità è mediamente del 2,5.
La popolazione di quella che era, prima che la distruggessimo, l’Africa Nera è di 720 milioni di abitanti, escludendo il Sudafrica che ha una storia a sé. Basta che un numero non dico rilevante ma consistente di queste persone che abbiamo ridotto alla fame si sposti verso l’Europa e non basteranno i cannoni di Salvini, o di tutti i Salvini, per respingerla. Nonostante tutta la nostra sofisticata tecnologia saremo sommersi. Per una questione che più che con la fisica ha a che fare con la matematica.
Quindi il mio augurio per gli anni a venire è che il Natale, già ridotto da tempo a un fenomeno di consumo nevrotico privo di alcuna spiritualità, torni perlomeno a essere veramente “una festa della famiglia”. Numerosa.
Il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2019