La tracotanza di Donald Trump dell’”America first”, che è poi quella di sempre degli Stati Uniti dopo la vittoria nella Seconda guerra mondiale, è solo più evidente e, in un certo senso, preferibile perché trasparente, sta superando ogni limite di tollerabilità, almeno per l’Europa. Dopo aver distribuito dazi a raffica, dopo aver imposto, non si sa in base a quale diritto, ad alcuni Paesi, fra cui il nostro, di non commerciare con l’Iran (che non costituisce un pericolo per l’Europa perché la sua geopolitica la fa in Medio Oriente, come l’Arabia Saudita e gli stessi Usa) ora si scopre che Trump sta cercando di acquistare, offrendo un miliardo di dollari, dalla CureVac, azienda privata tedesca, il brevetto di un vaccino anti-Coronavirus che è in uno stato avanzato di elaborazione. Ma questo brevetto, che nelle intenzioni della CureVac e del Paul-Erhlich-Institut federale che lo controlla, una volta raggiunto lo scopo, verrebbe distribuito a tutto il mondo, Trump lo vuole solo per sé, in esclusiva. Il governo di Berlino si è opposto con fermezza a questa ipotesi e la stessa CureVac ha dichiarato che “sta lavorando a un vaccino per tutto il mondo e non per singoli Paesi”. Un problema è costituito dal fatto che la CureVac è privata. Ma non sarà, crediamo, difficile per il governo tedesco superare i limiti del Trattato di Schengen perché questo stesso trattato prevede il loro sforamento in casi “eccezionali”.
L’Unione europea, presa nel suo complesso, per ora subisce le prepotenze di Washington. Ma qualcosa si sta muovendo. Già nel maggio del 2017, dopo il G7, Angela Merkel aveva dichiarato con grande coraggio: “Gli americani non sono più i nostri amici di un tempo”. E aveva aggiunto in un comizio elettorale: “Noi europei dobbiamo prendere veramente il nostro destino nelle nostre mani. Dobbiamo essere noi stessi a combattere per il nostro futuro”. Ed Emmanuel Macron, che segue la Merkel come un cagnolino fingendo di starle davanti, alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza di questo febbraio ha affermato: “Noi non possiamo più essere il partner di minoranza degli Stati Uniti”. Sia Merkel che Macron pensano a una politica di equidistanza fra Washington e Mosca ma, come nelle “convergenze parallele”, più vicina a Mosca che a Washington.
Nel frattempo il Tribunale internazionale dell’Aia sui crimini di guerra ha deciso di indagare su casi sospetti di omicidi di massa, stupri e torture che inducono a puntare il dito contro i Talebani ma anche contro le forze armate degli Stati Uniti. A questa iniziativa il segretario di Stato Mike Pompeo ha replicato: “Si tratta di un’azione sconsiderata da parte di un’istituzione politica mascherata da organo giudiziario”. Insomma Pompeo ha reagito come gli inquisiti di Mani Pulite.
Gli Stati Uniti si sono sempre rifiutati di farsi giudicare dal Tribunale internazionale dell’Aia, loro crimini non ne commettono, figuriamoci, né in guerra né in pace (qualcuno ricorderà, forse, l’episodio del Cermis quando un pilota yankee volendo fare il Rambo tranciò i cavi della funivia facendo 14 morti o le ragazze napoletane stuprate dai militari americani di stanza in quella base o, volendo fare un altro esempio fra i tanti che noi non ricordiamo ma i giapponesi ricordano benissimo, le ragazze violentate sull’isola di Okinawa. Nessuno di questi criminali, a cominciare dal Rambo, è stato mai giudicato e condannato né all’Aia né in America, di loro si sono perse le tracce). Alcuni Paesi del “Vecchio continente”, come in senso spregiativo veniamo chiamati dagli americani, cominciano a rendersi conto che il vero nemico dell’Europa non è né il Coronavirus, che prima o poi riusciremo a sedare, né la Russia, né la Cina, né l’Isis, ma sono gli United States of America.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 19 marzo 2020