Io apprezzo molto il lavoro fatto dal presidente Conte, dal suo governo, dai tecnici e dai medici cui si è rivolto per fronteggiare questa epidemia. Del resto il mio apprezzamento è solo un pulviscolo, visto che è stato espresso dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e che quasi tutti i Paesi europei ci stanno copiando. E credo che a Conte e ai suoi collaboratori, insieme s’intende ai medici in prima linea, un po’ di merito e di gratitudine andrebbero riconosciuti.
Ma adesso la situazione per noi cittadini si sta facendo pesante e se dovesse durare per mesi diventerebbe intollerabile. All’inizio abbiamo preso la nostra reclusione se non proprio come un divertimento, almeno come una variante. Si sta più in famiglia, per togliere i bambini dall’ipnosi della televisione e degli smartphone si raccontan loro fiabe, si lavora di fantasia, si ripescano nella nostra memoria le cose più interessanti che ci sono accadute. In fondo è quello che si faceva un tempo –un tempo che io ho avuto modo di vivere- quando la sera ci si raccoglieva tutti e si raccontavano storie, miti, leggende e appunto favole. E’ una sorta di ritorno al passato.
Ma adesso, come dicevo, la reclusione comincia a farsi difficilmente sopportabile. E affiorano pensieri torbidi. C’è un film, tremendo, I viaggiatori della sera interpretato da Ugo Tognazzi e Ornella Vanoni, regia di Tognazzi. A sessant’anni i cittadini di entrambi i sessi vengono prelevati e mandati in un’“Isola felice”. Ogni settimana c’è una tombola e chi vince viene messo su una nave che lo porterà in un’isola ancor più felice che in realtà è la morte. Una soluzione del genere, istituzionale, a cui qualcuno sta pensando, è inaccettabile, sarebbe né più né meno come quella dei nazisti che accoppiavano giovani sani e belli perché sfornassero figli ancora più sani e più belli. Ma la domanda “torbida” che viene spontanea è: e se avessimo lasciato al Coronavirus di fare il suo corso liberamente, eliminando i più deboli tenendo in vita i più robusti e i più adatti? La Natura è imparziale.
Non pensi il lettore che io scriva quel che scrivo a cuor leggero. Ho 76 anni e sarei quindi fra i possibili ‘eliminandi’. Però…però…ho avuto una vita intensa sia dal punto di vista sentimentale che professionale. Sono stato sposato, ho un figlio (ne avrei voluti di più ma la vita ha deciso diversamente), ho avuto rapporti sentimentali importanti, col sesso mi sono divertito quanto basta. Ho fatto un mestiere appassionante, quando era ancora appassionante, sono stato inviato in Italia e nel mondo e oggi, come opinionista, vengo pagato per scrivere cose che comunque direi, gratuitamente, al bar. Ho scritto libri alcuni dei quali, ne sono convinto, rimarranno nel tempo, almeno per un po’. Sono stato, improvvidamente, un attore, ho scritto testi di teatro non banali. Che più? Che mi devo aspettare dal futuro se non una decadenza più o meno lenta e comunque inesorabile? Ho perso amici importanti, Bocca, Oreste Del Buono, De Michelis, Montanelli (per la verità il termine ‘amico’ per Montanelli è un po’ troppo, comunque l’ho frequentato assiduamente). Alcuni di questi uomini avevano un quarto di secolo più di me ed è stato quindi normale, ma Cesare De Michelis era mio coetaneo e miei coetanei, o ancora di me più giovani, sono tanti amici che oggi “dormono, dormono sulla collina”. Tutti noi conosciamo o sappiamo di vecchi eccezionali, lucidi e in gamba fino alla fine. L’esempio più recente che viene in mente è quello di Gillo Dorfles morto, in piena lucidità, a 107 anni. Giuseppe Prezzolini, che andava verso i novanta, si lamenta nel suo Diario che la moglie, Jackie, che aveva trent’anni di meno, al suo terzo assalto gli ha detto di no. Prezzolini morì esattamente a cent’anni. Erano uomini d’un'altra tempra che io non credo, e nemmeno spero, di avere. Comunque, come dice una mia amica di Verona, “vedaremo”.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 21 marzo 2020