Quello che è venuto a mancare in Occidente (la cui cultura ha ormai infettato anche civiltà millenarie ad esso lontanissime e con una visione dell’essere e della sua ragione di esistere quasi diametralmente opposta alla nostra, come la cinese) è il coraggio.
Durante la Seconda guerra mondiale i combattenti delle opposte sponde lasciarono sul terreno 68 milioni di morti, 10 milioni e mezzo appartenenti alle forze dell’Asse (Germania, Giappone, Italia, quest’ultima ne ebbe solo 472 mila) gli altri agli Alleati (russi, col maggior numero di perdite, 25 milioni, americani proporzionalmente col minor numero, 413 mila, inglesi 365 mila più il variegato mondo dei Paesi appartenenti al Commonwealth). Il tutto per cinque anni di guerra. Attualmente (10/4) i morti nel mondo per il Corona sono 86 mila in cinque mesi circa. Dovendo però scomputare in questa macabra ma necessaria comparazione tutti o quasi i Paesi africani che alla Seconda guerra mondiale non presero parte e che attualmente pagano un tributo di 8 mila morti circa. In una comparazione molto approssimativa, perché per esempio la Spagna non partecipò all’ultima guerra mondiale ma oggi è uno dei Paesi più infettati, 68 milioni di morti in cinque anni contro 78 mila in cinque mesi. Quindi anche se nei prossimi quattro anni e mezzo il Corona dovesse procedere progressivamente resterebbe comunque lontanissimo dai 68 milioni di morti della Seconda guerra mondiale. Eppure questa epidemia “tremar il mondo fa”.
Il coraggio è una componente essenziale dell’essere umano, anche se non va confuso con la temerarietà e l’irresponsabilità, perché anche la paura è un’altra importante componente purché sia tenuta sotto controllo. Credo che a tutti noi sia capitato, almeno una volta nella vita, di trovarsi in una situazione di grave pericolo, le reazioni sono di due tipi: c’è chi, sotto adrenalina, reagisce e la scampa e chi ne rimane paralizzato e soccombe.
In tutte le civiltà lato sensu europee che hanno preceduto la nostra (greca, ellenistica, latina, medioevale) il coraggio non era solo una dote indispensabile al comando, ma il suo valore era ampiamente introiettato anche da tutti gli altri. Sto leggendo Erodoto (Storie) e Tucidide (La guerra del Peloponneso) e negli scontri all’arma bianca quasi nessuno si tira indietro e quei pochi che lo fanno, che Erodoto e Tucidide condannano senza riserve, sono coperti da perpetuo disonore. Se nel Medioevo europeo i nobili avevano la loro tanta contestata supremazia è perché a loro spettava combattere, mentre i contadini restavano sui campi. Estremamente significativa in proposito è la spiegazione che due scudieri di Varennes-en-Argonne danno, verso la fine del Trecento, del fatto che i nobili non devono pagare la taglia, cioè la tassa reale: “Perché, dicono gli scudieri ,in virtù della nobiltà sono tenuti ad esporre i loro corpi e cavalcature alla guerra” (C.Aimond, Histoire de la ville de Varennes-en-Argonne). Ma per tornare un attimo alla società latina, dove per onore ci si suicidava come noi accendiamo una sigaretta, l’unico esempio, a mia memoria, di viltà conclamata è quello di Marco Tullio Cicerone che a 64 anni cerca di sfuggire in modo scomposto e miserevole agli uomini di Antonio che lo ha condannato a morte e una volta raggiunto “presenta ai sicari un volto disfatto” (Plutarco). E infatti i suoi concittadini gli conficcarono uno spillone nella lingua, a significare che era stato bravo solo con quella.
Dopo la Seconda guerra mondiale il coraggio perde il suo primato come valore. Gli americani ne dettero collettivamente un’ultima prova nella guerra del Vietnam dove persero 63 mila soldati. In quanto agli europei di guerre non ne hanno fatte più, tranne gli inglesi per le Falkland o Malvinas dove si comportarono da inglesi mandando in prima linea il Principe Andrea. Poi è nebbia. Anzi peggio. Noi occidentali conduciamo guerre senza epica, senza coraggio, senza gloria, utilizzando i droni, con i loro missili, teleguidati da 10 mila chilometri di distanza. Il coraggio è passato agli islamici. Non solo ai guerriglieri e ai kamikaze dell’Isis o di al Qaida (anche se l’azione di Atta e dei suoi che, armati solo di temperini, sequestrarono un aereo e lo proiettarono contro le Torri Gemelle ha, ammettiamolo, qualcosa di grandioso) ma nel musulmano comune che, come possiamo vedere in questi giorni, se ne fotte del Coronavirus per inciviltà certo, ma anche perché ha meno paura della morte.
Oggi noi occidentali tremiamo ad ogni stormir di foglia. Abbiamo costruito una società che sarebbe ingiusto definire femminea, perché le donne, attrezzate per il parto, hanno più coraggio degli uomini. Una società eunuca.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2020