“Muore mille volte chi ha paura della morte” (Epicuro). E’ quanto è successo a tutti noi, o quasi, da quando è iniziata questa epidemia che io chiamerei piuttosto ondata di panico. Tremiamo a ogni starnuto, a ogni colpo di tosse, insomma a tutti quelli che ci hanno segnalato essere i primi sintomi del Covid-19 e anche a quelli che sintomi di questo morbo non sono. Mi ha telefonato un’amica spaventata perché aveva la nausea e mi ha chiesto se sapevo se era un sintomo del Covid. Le ho consigliato di leggere meno i giornali che con la loro ventina di pagine dedicate ogni giorno all’epidemia, come se nel mondo non ci fossero situazioni un tantino più gravi, dalla Siria alla Libia all’Afghanistan all’Egitto alla guerra in Sudan, a quella in Yemen, hanno ampiamente contribuito a diffondere il panico. Un panico del tutto irragionevole poiché ad oggi 28 aprile sono morte per Covid 27 mila persone, vale a dire lo 0,045 % della popolazione italiana, cioè ciascuno di noi ha 0,045 probabilità di morire per il Covid. Certo gli anziani hanno una più alta percentuale di rischio, se prendiamo le decadi 70-79 e 80-89 anni questi anziani hanno rispettivamente il 29,9 % e il 40,6 % di probabilità in più di essere compresi in quello 0,045 che rappresenta la media generale. E in quasi tutti i casi è gente pregiudicata, come si dice, da “patologie pregresse”. Da 0 a 29 anni le probabilità di morte, cioè di essere ricompresi nella più generale media dello 0,045, è dello 0,01 %, da 30 a 39 anni dello 0,2 %, da 40 a 49 dello 0,9 %. Eppure anche questi giovanissimi o giovani non sono meno timorosi degli altri, anzi se si guarda in giro, lo sono forse più dei vecchi. Solo alla fine e anche un po’ dopo della fine potremo fare i conti di quanto questo stress sia stato più letale del Covid: tre suicidi in Lomellina in poco più di due settimane, otto ‘femminicidi’ da quando è iniziato il Covid, senza contare gli infarti e gli ictus che, oltre che in questi mesi, si conteranno soprattutto in quelli successivi alla fine dell’epidemia, quando ci sarà. Per cui l’osservazione psicologica di Epicuro rischia di trasformarsi in un dato reale. Ma quello che qui ci preme sottolineare è che, in termini generali, abbiamo affrontato questo virus con un abbietto terrore della morte, senza alcuna dignità. E’ toccato al presidente del Bundestag, il Parlamento tedesco, Wolfgang Schäuble, ricordare che la dignità, intesa nel senso della dignitas latina, è più importante della vita: “E’ assolutamente sbagliato subordinare tutto alla salvaguardia della vita umana…se c’è un valore assoluto ancorato nella nostra Costituzione è la dignità delle persone, che è intoccabile e questo non esclude che dobbiamo morire”. E’ toccato ancora a Schäuble ricordare che nessuno di noi è immortale: “Tutti lasciamo questo mondo, prima o poi” (“Chi ha troppa paura di morire crede di essere immortale”, Il Ribelle dalla A alla Z). Questo terrore della morte rientra nella concezione tutta moderna, come abbiamo più volte ricordato, per cui la morte biologica è inconcepibile pur essendo inevitabile.
Ciò che, nell’attuale situazione, dovrebbe far paura non è la morte in sé per Covid, ma il modo sordido di questo morire: intubati, monitorizzati, oggetti. Cioè un modo che lede proprio la nostra dignità di esseri umani, quella dignità cui faceva riferimento Wolfgang Schäuble.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 1 maggio 2020