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Gli Stati Uniti stanno ritirando 11.900 militari dalla Germania per redistribuirli in vari Paesi europei, Belgio, Polonia e Italia fra gli altri. Gli americani si credono ancora i padroni d’Europa e in effetti lo sono. Fanno e disfanno a loro piacimento. Ci piacerebbe sapere se il nostro Governo è stato almeno consultato sui circa mille uomini che dovrebbero essere trasferiti ad Aviano. In realtà, richiesto o no, il nostro consenso è dato per scontato, a prescindere. Di tutti i Paesi europei l’Italia è forse quello più appecoronato ai voleri yankee. Gli americani decidono, non si capisce bene in base a quale legittimità, che alcuni Paesi, fra cui l’Italia, non devono avere rapporti commerciali con l’Iran e noi, che questi rapporti li abbiamo, e ottimi, ci adeguiamo subito danneggiando così alcune nostre aziende. I nostri interessi nazionali non esistono, esiste solo l’”America first” di Donald Trump.

Gli americani se ne stanno andando a gambe levate dall’Afghanistan, dalla “guerra che non si può vincere”, in realtà perduta, perdutissima dopo 19 anni di un’odiosa quanto devastante invasione. Hanno già ritirato 8.600 uomini dei circa 14 mila presenti in Afghanistan. Noi invece rimaniamo ancora là, ad Herat e Kabul, con 800 uomini, inutili, costosi ed esposti anche se solo virtualmente perché è da tempo che abbiamo un tacito accordo di non aggressione con i Talebani. A Franco Venturini che sul Corriere (20.7) si chiedeva, e chiedeva, appunto che cosa ci restiamo a fare in Afghanistan quando i principali interessati, gli americani, se ne stanno andando, il nostro ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha replicato sullo stesso Corriere: “In together, out together, adjust together, siamo arrivati insieme, ce ne andremo insieme”. Falso. Gli olandesi, che si erano battuti bene in una delle aree più pericolose dell’Afghanistan, la provincia di Urozgan, perdendo anche il figlio del loro comandante van Uhm, si sono ritirati nell’agosto del 2010. E l’Emirato Islamico d’Afghanistan con una nota ufficiale si felicitò “con il governo e la popolazione olandese per la scelta”.

Si è scritto (Sarcina, Corriere, 30.7) che il ritiro parziale dei militari americani da alcune basi tedesche è un atto di ostilità nei confronti della Germania perché, come anche noi, non ha ancora rifinanziato col 2% del Pil la Nato, questa alleanza sperequata totalmente in mano agli Usa (peraltro il termine di pagamento scade nel 2024). Niente di più inverosimile di questa versione ufficiale: se c’è una cosa che i tedeschi desiderano è che i militari americani se ne vadano dal loro Paese. La verità è che il rapporto gelido fra Angela Merkel e Donald Trump, di cui si è avuta riprova negli ultimi vertici internazionali in cui i due si sono trovati insieme, ha radici molto più profonde. Trump, che sarà anche folcloristico ma non è uno stupido, ha capito che Merkel porta avanti da tempo una politica antiamericana, simmetrica a quella antieuropea degli Usa (decisiva è in questo senso la dichiarazione di qualche anno fa della Merkel, pesantissima in rapporto al linguaggio solitamente flautato della diplomazia: “Gli americani non sono più i nostri amici di un tempo. Dobbiamo imparare a difenderci da soli”). Gli interessi dell’Europa e degli Stati Uniti divergono su ogni piano, economico, militare, politico. L’Europa ha un bisogno vitale di restare saldamente unita, perché nessun Paese europeo, Germania compresa, può fronteggiare da solo colossi monolitici come Stati Uniti appunto, Russia, Cina e anche quella finanza internazionale che è sovranazionale e non risponde ad alcuno Stato. Gli Stati Uniti, per ragioni simmetriche, hanno l’interesse opposto: minare il più possibile l’unità europea. Per mantenere questa unità Angela Merkel ha fatto un autentico capolavoro col Recovery Fund tenendo insieme i Paesi più in difficoltà (Italia, Spagna, Portogallo) permettendo l’erogazione di cospicui fondi e tenendo buoni i cosiddetti Paesi “frugali” con un contentino. Ma in prospettiva il programma di Angela Merkel va molto più in là. La Cancelliera vorrebbe tenere l’Europa in una posizione di equidistanza fra Russia e Stati Uniti, per la verità più vicina alla prima che ai secondi per ragioni di contiguità geografica, energetiche e in fondo anche culturali: milioni di europei si sono formati leggendo i grandi scrittori russi, Dostoevskij, Tolstoj, Gogol. Ma non ci sarà mai un’Europa forte senza un armamento militare autonomo (il “dobbiamo imparare a difenderci da soli” di Merkel). Per questo è necessario togliere alla Germania democratica l’anacronistico divieto di dotarsi dell’Atomica, arma decisiva, benché solo in termini di deterrenza, che oltre a Stati Uniti, Russia e Cina, hanno Paesi come l’India, il Pakistan, il Sudafrica, Israele, la Corea del Nord. “Vasto programma” avrebbe detto De Gaulle. Angela Merkel avrebbe avuto le palle per attuarlo. Il suo successore non so.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 1 agosto 2020