La Scienza, che tempo fa definimmo “più pericolosa dell’Isis”, ma oggi potremmo anche dire del Covid-19, continua imperterrita, senza che nessuno possa e tantomeno voglia disturbarla, nella sua marcia trionfale verso la propria demenza senile. Secondo uno studio di un gruppo di giovani ricercatori dell’Università di Bologna, premiati dal ministero della Salute, attraverso “la stimolazione magnetica transcranica (Tms)” si potrebbero rimuovere i ricordi spiacevoli, dolorosi, tormentosi, traumatici e la paura che ne è conseguita. Siamo in linea con la tendenza tutta moderna a eliminare dall’essere umano tutto ciò che è umano, per omologarlo a un normotipo astratto, “politicamente corretto”, diciamo così, dal punto di vista fisico, psichico, emotivo (la legge Mancino, oggi rafforzata dalla subnorma antiomofobia, ha già messo le manette all’odio che è un sentimento e, come tale, non può essere abolito per legge). Non pensavamo però che i ricercatori di Bologna non capissero quello che anche la casalinga di Voghera sa. Noi non siamo fatti solo di ciò che abbiamo vissuto, ma anche del suo ricordo. Si chiama esperienza. E il dolore, la paura e i ricordi, buoni o cattivi che siano, fanno parte di ogni esperienza umana. Facciamo un esempio molto semplice. Un bambino avvicinandosi troppo a un fornello del gas o al fuoco che crepita allegramente in un camino, ci mette la sua candida manina, si scotta e prova dolore. E’ chiaro che da lì in poi si guarderà bene dal ripetere quella brutta esperienza. E questo vale per ogni aspetto del vivere umano. Soprattutto la paura (e quindi il suo ricordo) è una componente essenziale della specie umana ma anche di animali di livello superiore (se un topo, attirato da un formaggio, resta secco in una trappola, i suoi compagni vedendo un appetitoso cacio lo avvicineranno con giudiziosa prudenza). Se siamo sopravvissuti a tutto è proprio perché la specie umana è una delle più paurose del Creato. Se continueremo sulla linea dei giovani ricercatori di Bologna, tentando di rimuovere i ricordi, la paura e soprattutto la memoria sulla cui importanza fondamentale sono state scritte intere enciclopedie da parte di studiosi un po’ più accreditati (L’arte della memoria, Frances A. Yates, per tutti), finiremo in trappola. Sopravviveranno solo i topi.
Ma siccome gli scienziati, giovani o meno, sono inesausti, adesso abbiamo l’ultimo grido della medicina preventiva o, per meglio dire, del terrorismo diagnostico. La prestigiosa rivista Journal of American Medical Association ci informa che con un particolare test del sangue focalizzato sulla proteina Tau saremo presto in grado di prevedere l’insorgere dell’Alzheimer in una persona con vent’anni d’anticipo. Ma che ce serve se contemporaneamente non ci sono, né si prevedono, cure per l’Alzheimer? A far vivere da malato un uomo sano con vent’anni d’anticipo. La prestigiosa rivista Journal of American Medical Association stima anche che entro il 2050 i malati di Alzheimer saliranno dai 30 milioni attuali a 100 milioni. Su questo sarebbe interessante indagare, sulle cause, evidentemente ambientali e sociali, cioè sull’attuale modello di sviluppo (perché nelle Isole Andamane non c’è nessun aumento di Alzheimer, anzi l’Alzheimer non esiste proprio) a cui si deve il formidabile incremento di questa malattia. Ma di ciò gli scienziati non si occupano. Sono già malati di Alzheimer, sia pur in incubazione.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 8 agosto 2020