Non si può aprire un telegiornale, qualsiasi telegiornale, senza che l’intero spazio sia dedicato al Covid. Covid in tutte le salse. Inviati da Milano, da Napoli, da Genova, da Torino, da Matera. E quando sul finire dei servizi si pensa che ci si occupi finalmente di cose serie, il calcio, eh no anche il calcio è visto in versione Covid (Cristiano Ronald, il campione della Juventus che, del tutto asintomatico, e quindi sano, è stato trovato positivo e non potrà giocare alcune partite importanti o il suo compagno Weston McKennie che è più o meno nella stessa situazione). Tutto ciò crea un senso d’angoscia sia nei credenti, nella potenzialità devastante del virus, sia nei miscredenti. Per non contribuire a questo panico, molto irrazionale secondo il nostro personalissimo cartellino, ci occuperemo quindi d’altro.
Il mese scorso è stata arrestata in Siria, dopo una lunga e complicatissima indagine dei Ros, Alice Brignoli, un’italiana che, seguendo il marito marocchino, era andata a combattere per lo Stato Islamico di Al Baghdadi, che a quel tempo era uno Stato a tutti gli effetti perché secondo la giurisprudenza uno Stato è tale quando esistono tre elementi costitutivi: un governo, un territorio, una popolazione, e lo Stato Islamico li aveva tutti e tre (sia detto di passata, non credo che chi sta combattendo attualmente in Siria, dall’una o dall’altra parte, o in Afghanistan nel conflitto fra Talebani e Isis, si preoccupi molto del Covid, perché da quelle parti la possibilità di morire è molto concreta e non un’ipotesi, e quando la morte si presenta nelle forme dinamiche, per esempio la battaglia, ci si pensa molto di meno. François Mauriac: “Per tutta la vita ho pensato alla morte. Ora che mi batto non ci penso più”).
Ho anche qualche dubbio che l’arresto di Alice Brignoli sia legittimo. Durante la guerra di Spagna moltissimi europei vi parteciparono battendosi per l’una o l’altra parte, il franchismo o la repubblica, ma non mi risulta che, posso sbagliare, siano stati perseguiti dai rispettivi governi per avervi preso parte. Ma la questione centrale è un’altra. Alice Brignoli ha quattro figli avuti dal suo compagno combattente. Sono ovviamente intrisi di islamismo radicale. Ora sono in una comunità dove, come si esprime Gian Micalessin (Il Giornale, 30.9), devono essere “rieducati” alle buone maniere. Quella della “rieducazione” è una costante di ogni totalitarismo, da Mao ai khmer rossi al sovietismo di marca staliniana. Nei gulag sovietici si utilizzavano tecniche sofisticatissime per correggere i prigionieri, cambiandone radicalmente la personalità, da ogni “deviazionismo” che non corrispondesse esattamente alla linea del partito. Si legga in proposito lo spettrale libro di Gustaw Herling “Un mondo a parte”. Non si capisce perché i ragazzini italo-siriani portati in Italia, che erano stati educati in un certo modo dai propri genitori, ora debbano essere “rieducati” secondo i valori della democrazia liberale che per i primi anni della loro esistenza erano stati loro estranei, per passare da un totalitarismo a un altro. Si lasci che questi ragazzini che poi diverranno adulti siano liberi, sempre che non commettano reati per la legge italiana, di scegliersi la vita, le idee, i pensieri che più riterranno congeniali alla propria esistenza e alla propria interiorità. Sarebbe per esempio interessante sapere se Silvia Romano la volontaria rapita in Kenya, trasferita in seguito in Somalia sotto il controllo degli shebaab, e rientrata in Italia vestita con abiti rigorosamente islamici e con ideali islamici, sulla quale a suo tempo si è fatto tanto chiasso, dopo sei mesi di vita nel nostro Paese ha cambiato idea oppure no. Ma il giornalismo non fa più il proprio mestiere. Si occupa solo di Covid.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2020