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Paolo Rossi, per tutti Pablito, è stato sempre molto amato dagli Italiani, e continuerà a esserlo, perché principale artefice della vittoria della nostra Nazionale ai Mondiali del 1982 in Spagna che riportò il nostro calcio ai massimi livelli internazionali dopo più di quarant’anni di digiuno (le vittorie del ’34 e del ’38 della Nazionale di Pozzo, che però, poiché ottenute durante il regime fascista, non si ama molto ricordare). Vittoria che aprì un ciclo che ci portò a trionfare di nuovo nel 2006, anche se questa volta il protagonista non fu un attaccante, ma un difensore, Fabio Cannavaro. In realtà alla vittoria in Spagna contribuirono vari fattori, l’allenatore Enzo Bearzot (quello che sull’aereo del ritorno giocava a carte con Sandro Pertini che, da consumata  sanguisuga, si attribuì il merito di quella vittoria), una squadra straordinaria (oggi si dice “gruppo”) e su tutti quel grande campione e grande uomo, oserei dire galantuomo, che risponde al nome di Dino Zoff (parata a terra nel decisivo incontro col Brasile su un tiro da tre metri di Falcao quando lui, il portiere, Zoff quindi, nel momento in cui quello calciava a colpo sicuro era ancora in piedi, un tempo di reazione straordinario). È indubbio comunque che i Mondiali del 1982 sono legati soprattutto al nome di Paolo Rossi.

Vedo però che anche con Rossi si sta ripetendo l’errore fatto con Diego Armando Maradona. Nei ritratti che vengono dedicati oggi dai media all’uomo e non al calciatore lo si descrive innanzitutto come “uomo probo”. Bene, Rossi fu uno dei protagonisti del calcioscommesse nel quale noti malviventi si mettevano d’accordo con i calciatori per truccare le partite. All’epoca mi colpì in particolare un episodio, uno di questi malviventi era andato nel ritiro del Perugia, dove allora giocava Rossi. Avvicinò un giocatore perugino per trovare un accordo e quello gli disse “chiedilo al ‘nove’, è lui che decide”. E il ‘nove’ era Paolo Rossi, “l’uomo probo”. Fu squalificato per due anni e forse fu proprio questo lungo digiuno che lo rese, lui che aveva come massima dote grandi riflessi, non la tecnica, ancora più reattivo del solito.

Ma qui si entra in un girone più largo che non riguarda i vip di casa nostra su cui pur si potrebbe e si dovrebbe fare un discorso (il simpaticissimo Valentino Rossi grande evasore fiscale, idem Pavarotti e così via). Ogni volta che muore qualcuno per un qualche accidente umano che arriva alla cronaca coloro che conoscevano il “caro estinto”, e con essi i media riportanti, lo descrivono sempre come “marito esemplare”, “padre affettuosissimo”, “gran lavoratore”. Ora se così è non si capisce perché mai siamo immersi in un mondo di canaglie. Ma così van le cose qui da noi. Dove un “uomo probo”, anzi il più probo di tutti i probi, condannato in via definitiva per una colossale evasione fiscale, salvato da nove prescrizioni, con tre o quattro processi in corso, briga per diventare, senza che nessuno soffi un fiato, presidente del Repubblica italiana. Che d’ora in poi sarebbe più conveniente chiamare Granducato di Curlandia.

Il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2020