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In ogni occasione solenne papa Francesco invoca, come da ragione inditta, la pace e deplora i tantissimi conflitti in atto nel mondo. Cita la Libia, la Siria, l’Iraq, la Somalia, lo Yemen, il Sudan, con un po’ più di prudenza la Palestina, e di recente il conflitto apertosi per il Nagorno Karabakh. Ma non nomina mai l’Afghanistan. Strano, perché la guerra all’Afghanistan, e non “in Afghanistan” come ipocritamente si dice, dura da 19 anni, da quando nel 2001 gli americani con i loro alleati occidentali invasero quel Paese ed è la più lunga guerra moderna. Come mai? Per dirla alla Marzullo fatevi una domanda e datevi una risposta. La risposta è che i principali responsabili di quella guerra, che ha distrutto l’economia di un Paese già povero, la sua socialità, la sua cultura, la sua etica e fatto un numero incalcolabile di morti, incalcolabile perché mai calcolato nemmeno da alcuna organizzazione internazionale, siamo senza se e senza ma, noi occidentali.

Quella guerra aveva all’inizio una sua giustificazione: nel territorio dell’Afghanistan, governato allora dai Talebani, si trovava Bin Laden, considerato il responsabile dell’attentato alle Torri Gemelle, anche se in seguito è stato appurato senza ombra di dubbio che la dirigenza talebana nulla sapeva di quell’attentato e nulla c’entrava.

Adesso che gli americani, su iniziativa dell’infamato Trump che non ci stava a spendere 45 miliardi l’anno per una guerra che, secondo gli stessi esperti del Pentagono, “non si può vincere”, si stanno ritirando, mentre noi italiani rimaniamo là non si capisce a far che spendendo 6,3 miliardi l’anno con i quali non si risana un bilancio ma che, soprattutto in epoca di pandemia, sarebbero molto utili qui, come utili sarebbero gli ottocento nostri militari che rimangono in quel Paese (domanda che ho posto tre volte al ministro degli esteri Di Maio non con degli articoli ma parlandogli vis a vis) la guerra, questa volta sì “in Afghanistan”, continua. Solo nel 2019/2020 i morti sono stati 34 mila. Chi si batte attualmente in Afghanistan? I Talebani contro il governo collaborazionista imposto dagli americani e il cosiddetto “esercito regolare”, ancora i Talebani contro l’Isis penetrato da cinque anni in quel Paese per responsabilità indiretta degli stessi occupanti che non hanno capito che Isis era il pericolo principale e hanno invece costretto i Talebani a battersi su due fronti (occupanti e Isis), e lo stesso Isis che gioca al macello colpendo indiscriminatamente i civili.

Come si esce da questa situazione? Con gli americani un accordo è stato trovato e gli yankee se ne stanno andando, ma resta lo spinoso problema del rapporto fra il governo di Kabul e i Talebani che controllano ormai quasi il 90% del Paese. Un dialogo fra queste forze sperequate è stato aperto da alcuni mesi a Doha in Qatar. Ma trovare un accordo è difficilissimo. Ashraf Ghani, l’attuale presidente dell’Afghanistan, e i suoi vogliono conservare il potere ma i Talebani non potranno mai accettarlo, non hanno combattuto vent’anni, lasciando sul campo decine di migliaia di guerriglieri, per trovarsi punto e a capo, con sulla testa un governo collaborazionista come lo era quello di Najibullah alle dirette dipendenze dei sovietici. Nel 1996, quando il Mullah Omar conquistò il potere, fece giustiziare Najibullah e il giorno dopo concesse un’amnistia generale che rispettò per tutti gli anni del suo governo. Ma adesso la situazione è molto diversa. La vecchia generazione talebana che aveva contribuito a sconfiggere i sovietici, che aveva sconfitto e cacciato dal Paese i “signori della guerra”, Dostum, Hekmatyar, Ismael Khan, Massud, non c’è più. I suoi dirigenti sono morti in battaglia (solo Omar, stroncato da 25 anni di combattimenti vissuti in condizioni impossibili è morto, per tubercolosi, nel suo letto nel 2015). I nuovi Talebani, incarogniti da vent’anni di guerra, non hanno la saggezza né di Omar né del suo numero due Mansur ucciso da un drone americano. Se Ashraf Ghani e i suoi, la sua polizia corrotta, la sua magistratura corrotta, la sua pubblica amministrazione corrotta, non capiscono che devono cedere il passo in fretta si profila in Afghanistan un bagno di sangue non diverso, anzi un po’ peggiore, di quello che ci fu in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale (e infatti Togliatti, allora ministro della Giustizia, concesse saggiamente un’amnistia così come Omar aveva fatto nel 1996). Non credo che i Talebani si accaniranno contro i soldati dell’esercito “regolare” afghano, sono ragazzi come loro che si sono arruolati per disperazione, per avere un salario in un Paese che da povero era diventato poverissimo. Ai principali collaborazionisti non si darà requie. La soluzione sarebbe munirli di un salvacondotto in modo che possano riparare negli Stati Uniti o in qualche altro Paese loro amico come l’Iran sciita. Ma se le cose andranno in questo modo lo potremo sapere, sempre che Isis venga nel frattempo sconfitto, solo nei mesi e negli anni a venire.

 Il Fatto Quotidiano, 7 gennaio 2021