Più va avanti questa storia del Covid e meno mi convince. Ad un anno, anzi un po’ di più, dall’inizio della pandemia i morti per Covid in Italia sono circa 97 mila, lo 0,16% della popolazione. Sempre in Italia i morti per tumore all’anno sono mediamente più di 190 mila. Il tumore però, e per fortuna, non è contagioso, mentre l’epidemia lo è e il suo rischio sta proprio nel fatto che i suoi numeri possono diventare esponenziali. La domanda è quindi questa: quanti sarebbero stati i morti per Covid se non fossero state adottate le misure di contrasto, dai lockdown alla sanificazione alle mascherine? Negli Stati Uniti i morti per Covid sono mezzo milione. Una cifra enorme. All’apparenza. Mezzo milione su 330 milioni di abitanti dà, in percentuale, un numero più o meno uguale al nostro, lo 0,15%. Ma negli Stati Uniti per tutto il periodo Trump, cioè fino a poco più di un mese fa, la gestione dei lockdown è stata affidata ai singoli stati confederali che si sono quasi equamente divisi, alcuni hanno applicato lo “stay at home order”, altri no, così come si sono divisi persino sulla meno fastidiosa delle precauzioni antiCovid, la mascherina, per cui erano democratici coloro che la indossavano, trumpiani gli altri. Peraltro, almeno dalle riprese televisive, si vedeva che negli States a portare la mascherina erano davvero in pochi. Comunque sia una gestione molto più lasca dei lockdown ha dato percentualmente lo stesso numero di morti in Italia (e con essa in Europa) e negli Stati Uniti. Quindi se si fosse lasciata andar libera la pandemia, che era la prima idea di Boris Johnson, non a caso perché gli inglesi sono estremamente insofferenti a ogni limitazione delle libertà personali, il numero dei decessi poteva raddoppiare o, siamo generosi, al massimo triplicare, cioè raggiungere lo 0,48% della popolazione. Nel mondo i morti per Covid sono circa 2,5 milioni, vale a dire lo 0,031% della popolazione globale. Certamente i valori mondiali vanno presi particolarmente con le pinze perché non credo che chi si sta battendo in Siria o in Libia o in Afghanistan sia particolarmente attento al Covid e alle sue conseguenze né, in quelle aree, ci possono essere statistiche attendibili. Durante la seconda guerra mondiale i morti, più civili che militari, furono dai 60 ai 68 milioni, cioè circa 11 milioni l’anno, ma in un’area molto più ristretta rispetto al mondo globale di oggi perché riguardava solo l’Europa e il Giappone. Ai dati che abbiamo fin qui fornito vanno aggiunte, ma in realtà sottratte, le morti causate in modo diretto o indiretto dai lockdown, perché conti più o meno esatti, come ha detto Lena Hallengren, ministra della salute della Svezia che in pratica lockdown non ne ha fatti, “si faranno fra due o tre anni”.
Valeva la pena devastare le strutture sociali, nervose, economiche di intere popolazioni per una malattia che comporta una percentuale di decessi statisticamente quasi irrilevante? E che riguarda in larghissima parte persone anziane con due o tre patologie pregresse che, è duro dirlo ma va pur detto, sarebbero comunque morte di lì a poco? Sant’Agostino va giù ancora più piatto: “Che male c’è se muoiono in guerra uomini comunque destinati a morire?”. Ma qui sta proprio il nocciolo di tutta questa storia Covid. Lo stesso concetto di morte è scomparso dall’orizzonte della contemporaneità, semplicemente non è accettato (nemmeno linguisticamente, si parla di “decessi”) e ciò vale, ed è sorprendente, tanto per le culture occidentali che orientali. In Occidente la religione ha fatto la sua fortuna proprio giocando sul terrore della morte, cercando di superarlo con la concezione di “una vita oltre la vita” e quindi, di fatto, negandola. In Oriente le cose sono andate diversamente. Tutte le religioni, o piuttosto le filosofie orientali dal buddhismo all’induismo, hanno (o piuttosto avevano) un approccio molto diverso con la vita e con la morte. Per Lao-Tse (Il libro della norma) che ha influenzato tutto il pensiero orientale, il concetto è quello della “in-azione”, cioè della non azione che è uno stato che allontana il più possibile dai dolori della vita e quindi dalla vita stessa e dal pensiero della morte (per dirla in parole più spicciole il nirvana del buddhismo). Per buona parte dell’islamismo, almeno quello radicale, la morte è una felice liberazione dalla vita.
Non tutto il Covid sarà venuto per nuocere, qui da noi in Europa, se ci avrà fatto ricordare un semplice concetto molto presente nel medioevo contadino, secondo il quale la morte non è solo la conclusione inevitabile di ogni vita, ma è la precondizione della vita. Va quindi combattuta nei limiti del possibile ma, alla fine, anche accettata senza vivere sotto una costante cappa di terrore e di paura. Dice il vecchio e saggio Epicuro: . “Muore mille volte chi ha paura della morte”.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2021