Il Giornale dedica un titolo di testa a tutta pagina per attaccare il Tribunale di Roma, e quindi anche me, per avermi assolto in una causa civile di diffamazione intentatami da Berlusconi. Ma come? Or pochi giorni fa il Giornale si scagliava giustamente contro lo sproloquio televisivo di Grillo, che ho condannato anch’io, intendendolo come un’intimidazione all’autonomia e all’indipendenza della Magistratura, tema a cui il Giornale è stato sempre particolarmente sensibile visto che, da quando l’ha lasciato Montanelli sotto la direzione prima di Feltri poi dello stesso Sallusti poi di Belpietro, non ha fatto altro che attaccare la legittimità dell’ azione della Magistratura italiana.
Il Giornale è uno strenuo difensore del principio di non colpevolezza fino a condanna definitiva, principio che io ho sempre difeso soprattutto quando riguardava degli stracci contro di cui la destra, chiedo scusa alla Destra, si accaniva come nel caso di Pietro Valpreda in galera da quattro anni senza processo o di Giuliano Naria, presunto terrorista rosso, tenuto in gattabuia per nove anni e poi assolto. Ma nel mio caso tutto si capovolge. Per me vale una presunzione di colpevolezza anche se un tribunale mi ha dichiarato innocente.
Alessandro Sallusti che dirige un giornale sa bene quanto noi si sia esposti al reato di diffamazione. Ed è giusto che io sia punito penalmente se affermo che Sallusti è un ladro e lui ladro non è. In genere però si preferisce, invece del penale, l’azione civile per danni che non obbliga la prova e che tende più che a restituire l’onore al presunto diffamato a scucire dei soldi al presunto diffamante.
E qui sorge un primo problema che metto all’attenzione di Sallusti, e non solo di Sallusti. Se io scrivo che Sallusti è un ladro e dimostro, o altri hanno dimostrato, che è un ladro, ciò non basta per salvarmi dalle sue rivendicazioni, perché anche un ladro di cui si è dimostrato che è tale può rivalersi nei miei confronti se l’ho chiamato ladro “in termini non continenti”. Ora se io passo col rosso so di aver commesso un’infrazione, se uccido una persona so di aver commesso un omicidio, ma quali siano i termini “non continenti” è un concetto vago lasciato alla discrezionalità del giudice. Nel mio caso il magistrato Damiana Colla ha ritenuto che, nonostante i termini graffianti da me usati nei confronti di Berlusconi, ciò che ho scritto non superasse i limiti del diritto di critica politica.
Ma qui arriviamo al core, anzi all’hardcore, di tutta la questione. Come mai l’onorevole Berlusconi mi ha chiesto i danni solo perché io avrei usato termini “non continenti” e non per il contenuto dei miei scritti da cui partiva poi la mia critica all’uomo di Arcore e che il Tribunale civile di Roma ha considerato legittima? Semplicemente perché non poteva. Ma qui bisogna fare un lungo passo indietro. Nel 1994 il giornalista Giovanni Ruggeri pubblicava un libro intitolato “Gli affari del Presidente”. Io non sono particolarmente interessato a questo tipo di letteratura, preferisco Dostoevskij, non amo i gialli, i polizieschi, non sono un Pm e non ho la spasmodica voglia di trovare un colpevole. Però in una notte insonne misi la mano sul libro di Ruggeri e mi colpì particolarmente il capitolo “Il grande imbroglio” dove Ruggeri denunciava, con una certa ricchezza di documenti e di argomenti, una truffa miliardaria che Berlusconi e Previti avrebbero consumato ai danni della marchesina Anna Maria Casati-Stampa, minorenne, orfana di entrambi i genitori periti in circostanze tragiche. Sbalordii. E il giorno dopo scrissi per L’Indipendente un editoriale che diceva più o meno: io non posso credere a ciò che scrive Ruggeri, non posso credere che il Presidente del Consiglio, Berlusconi, e il ministro della Difesa, Previti, si siano resi responsabili di una truffa del genere. Ma vorrei sapere se Berlusconi e Previti hanno querelato il Ruggeri altrimenti il cittadino è autorizzato a credere che quello che ha scritto Ruggeri corrisponde a verità. L’Indipendente era allora un giornale con una vasta eco, ma sia Berlusconi che Previti restarono silenti. Ne scrissi un secondo dello stesso tenore ma da Berlusconi e Previti continuò il silenzio. Ne scrissi un terzo e Previti rispose con un fax in cui, giocando sui gerundi e i congiuntivi, non si capiva se aveva o no querelato Ruggeri. Allora, in un quarto articolo, spazientito, scrissi: “Onorevole Previti lei deve dirci semplicemente se ha o non ha querelato Ruggeri”. A quel punto Previti, tirato per i capelli (Berlusconi sempre prudentemente silente) querelò Ruggeri, me e L’Espresso. Si andò al processo. La Corte di Appello di Roma con sentenza del 2 maggio 2008 assolse Ruggeri, me e L’Espresso affermando che “l’articolo del Ruggeri, caratterizzato dalla correttezza espositiva e dall’utilità sociale dell’informazione per il ruolo pubblico dei personaggi interessati, si basava sulla sostanziale veridicità putativa dei fatti”. Dunque era sostanzialmente vero che Berlusconi e Previti, in combutta fra di loro, avevano truffato una minorenne, orfana di entrambi i genitori.
Berlusconi, in genere così abile ad evitare qualunque trappola, è stato imprudente ad agire oggi contro di me. Perché quella vergognosa infamia di cui si era reso responsabile, e che tutti, come al solito, avevano dimenticato, ora torna a galla. Si può anche capire, anche se non giustificare, che un imprenditore, pur di salvare la propria azienda o di rafforzarla, faccia patti con il diavolo, corrompa la Guardia di Finanza, corrompa magistrati, tutte cose di cui Berlusconi è stato accusato uscendone spesso indenne in via di prescrizione. Ma un truffa da strada, per altro miliardaria, consumata ai danni di una minorenne, orfana di entrambi i genitori, approfittando della sua posizione inerme, è qualcosa che “va al di là del bene e del male” sottolineando l’indegnità morale, prima ancora che penale, di coloro che l’hanno consumata. Berlusconi, che ha sempre affermato di non attaccare mai personalmente le persone, perdonate la ripetizione, disse di Di Pietro, per altro dopo avergli offerto la posizione di ministro degli Interni: “Di Pietro è un uomo che mi fa orrore”. Ebbene per me, e forse non solo per me, è Berlusconi “un uomo che fa orrore”. Preferisco Renato Vallanzasca, come richiamavo negli articoli contestati, perché ha un’etica, sia pur malavitosa, ma ce l’ha. L’onorevole Silvio Berlusconi, senatore, in predicato di diventare Presidente della Repubblica, è sotto qualsiasi etica, malavitosa e non.
E veniamo all’editoriale di Alessandro Sallusti. Sallusti mi contesta un “odio a prescindere” nei confronti dell’onorevole Berlusconi. Quando il signore di Arcore salì al laticlavio della politica espressi sull’Europeo un giudizio possibilista, per una volta un imprenditore ci metteva la faccia, a differenza degli Agnelli che mandavano avanti i loro portaborse. Poi di fronte agli scheletri nell’armadio del Cavaliere che man mano venivano alla scoperto cambiai idea. Cambiare idea non è un peccato. Lo è quando la si cambia solo a proprio favore, che è esattamente ciò che fa Sallusti. Io quando cambio idea lo faccio generalmente a mio sfavore. Ed è ciò che feci puntualmente cominciando a criticare duramente Berlusconi negli anni in cui saliva all’empireo e raccoglieva attorno a sé i servi disponibili.
Il problema di Sallusti e di tutti i Sallusti nei miei confronti è che io sono la loro coscienza sporca. Li conosco da più di vent’anni e so che il fondo delle loro mutande non è esattamente candido. Sono un cavaliere solitario come Don Chisciotte ma non vado a sbattere contro i mulini a vento ma contro i poteri che costoro rappresentano e servono. Nonostante tutto sono ancora vivo e finché vivrò dovranno rassegnarsi alla mia presenza. Non c’è macchia sul mio onore di giornalista libero e libertario. Non so quanto Sallusti e tutti i Sallusti possano dire lo stesso.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 27 aprile 2021