La Superlega che voleva restringere di fatto la Champions League ai club più importanti e prestigiosi è stata respinta con perdite. Da tutti. Tifosi, calciatori, allenatori. Come sia potuto nascere un progetto così stupido, perché elimina il merito sportivo conquistato sul campo, a favore dell’economico, cioè del bacino di utenza dei grandi club, non è, di primo acchito, comprensibile. Partiamo dai tifosi. Il tifoso è uno che gioisce come un bambino quando la sua squadra vince, piange come un bambino quando la sua squadra perde. Eppure a lui, in un caso o nell’altro, non viene in tasca nulla. Anzi è colui che paga lo spettacolo. È evidente a chiunque che il calcio si regge su passioni, sentimenti, simboli, che non possono essere ridotti all’economico.
Il progetto della Superlega nasce dal fatto che tutti i grandi club, se si escludono le squadre tedesche, sono da tempo, a prescindere dal Covid, in una disastrosa situazione economica. Ma com’è possibile? Una partita di medio cartello raduna allo stadio 30 mila spettatori, una di cartello 60 mila. Inoltre c’è la pletora degli abbonati alla pay per view che porta la cifra molto più in alto. Quanto ci mette un teatro, anche quando presenti una pièce interessante, a raggiungere 50 mila spettatori? Se va bene almeno un mese. Evidentemente c’è qualcosa di marcio nel regno di Danimarca. Calciatori super pagati (e sono i meno responsabili) e agenti più pagati degli stessi giocatori. Ma non è su questo che adesso l’UEFA, che ha respinto con decisone il progetto Superlega, intende agire. Vuole in realtà in qualche modo assecondare gli interessi delle super squadre per cui per la prossima Champions ha preparato un programma molto cervellotico, nel quale concentrare i grandi match, togliendo qualsiasi spazio alle squadre minori. Nella simpatica compagnia che commenta le partite di Champions su Sky (c’è Fabio Capello, il mister per eccellenza, Billy Costacurta, ragazzo molto simpatico, intelligente, competente perché lui il calcio lo ha giocato davvero) la cosa più intelligente l’ha detta Alessandro Del Piero: “Ma così si perde l’eccezionalità dell’evento”. È chiaro che se tu ogni mercoledì vedi giocare Bayern contro Manchester City, PSG contro la Juve, Inter contro Chelsea, tutto si appiattisce. Un conto è mordicchiare un pezzetto di marzapane, ma un chilo di marzapane ti stomaca. Per portare il discorso a un livello più generale è la legge dell’ “utilità marginale” che ti insegnano al secondo anno di economia. Il primo boccone ti salva dalla fame, il secondo anche, il terzo ti fa star bene, il quarto pure, il centesimo ti uccide. Questo processo lo conoscono gli scrittori di romanzi. Che sanno bene che un racconto non può essere fatto solo di picchi. Ci devono essere avvallamenti, zone d’ombra, pause. Anche Tolstoj deve scrivere una frase molto banale come “Anna Karenina si alzò e andò alla finestra” (cosa che scandalizzava Leo Longanesi che infatti romanzi non ne ha scritti mai, si è limitato a degli splendidi epigrammi). Tolstoj non può far morire ogni giorno Anna Karenina. Tutto il pathos del romanzo andrebbe a farsi fottere. Cosa che non ha mai capito Oriana Fallaci i cui cosiddetti romanzi, Un uomo per non parlare di Insciallah, sono totalmente indigeribili per l’enfasi che mette in ogni pagina. Fallaci va bene su un articolo, anche di quindici cartelle, in un libro è più indigesta di un chilo di marzapane.
Fosse per me tornerei alla vecchia, cara Coppa dei Campioni. Il vincitore di un campionato, si tratti pure di quello irlandese o delle Isole Faroe, sfida i vincitori dei campionati più importanti. In una partita secca, andata e ritorno, può capitare che una squadra minore, che ha vinto un campionato considerato minore, batta una grande squadra. Com’è successo anni fa col Lugano che buttò fuori l’Inter. Io poi sono particolarmente affezionato alle Faroe perché in Nazionale giocano impiegati, medici, operai, cioè degli assoluti dilettanti che si allenano quando possono, con tanti saluti ai giocatori professionisti il cui allenamento viene millimetrato fino a un’ora prima della partita. In casa le Far, isole groenlandesi dove si gioca a quaranta sottozero, hanno pareggiato con la Francia campione del mondo, con mio grande godimento perché le avevo giocate contro ogni logica. Questo, ad onta degli agiografi della Superlega o similari, è il vero calcio: Davide può sempre battere Golia. Il resto è solo Economia e Tecnologia, mostri anonimi senza sentimento, di cui abbiamo le palle piene. E non solo nel calcio.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 5 maggio 2021