Gli occidentali non ce la fanno proprio a non essere “umanitari”. Sono proprio commoventi in questa loro missione. Erano andati in Afghanistan vent’anni fa per sconfiggere il terrorismo. Ci hanno messo anni per capire quello che sapevano già: che la dirigenza talebana dell’epoca era completamente all’oscuro dell’attacco alle Torri gemelle e che non aveva niente a che fare col terrorismo internazionale allora impersonato da Bin Laden e che prendeva il nome di Al Qaeda. Lo sapevano talmente bene che già nell’inverno del 1998 Bill Clinton aveva preso contatti con il Mullah Omar per far fuori Bin Laden e Omar si era dichiarato disponibile. Ma Clinton, all’ultimo momento, si tirò indietro per ragioni rimaste misteriose. E questi sono documenti del Dipartimento di Stato resi noti nell’agosto del 2005.
Poiché il terrorismo internazionale non aveva niente a che fare con i Talebani la missione occidentale, che non faceva più capo all’Onu, cambiò nome e si chiamò “Riportare la speranza” in Afghanistan. Che cosa abbiano fatto per vent’anni gli occidentali in Afghanistan non è facile capire. Ancora oggi tra le lagnose lamentele sulla “disastrosa situazione in Afghanistan” – e lo credo bene dopo vent’anni di guerra - c’è che mancano gli ospedali. Cioè in vent’anni non siamo stati nemmeno capaci di costruire degli ospedali, rimane solo Emergency che era in Afghanistan, a Kabul e a Lashkargah, già all’epoca in cui governava il Mullah Omar. Siamo stati invece abilissimi nel sommergere quella gente con fiumi di dollari per corromperla. Operazione in parte riuscita, molti di quelli che oggi scappano dall’Afghanistan sono persone che hanno intascato i soldi che dovevano andare al popolo afghano. A cominciare dall’ultimo Presidente Ashraf Ghani, al suo ancor più impresentabile predecessore Hamid Karzai, il cui fratello era uno dei più grandi trafficanti di oppio, giù giù fino ai governatori provinciali, alla polizia, alla magistratura. La magistratura era talmente corrotta che si pagava per avere una sentenza favorevole tanto che, soprattutto nella vastissima area rurale ( circa il 90% del Paese ) gli afghani preferivano ricorrere alla giustizia talebana, più sbrigativa ma non corrotta, come ha documentato Ahmed Rashid in Caos Asia. I talebani sono stati fin troppo accomodanti emanando quasi immediatamente un’amnistia per questi mascalzoni.
Poiché non sono riusciti a sconfiggere l’Afghanistan talebano sul campo gli occidentali cercano ora di riappropriarsene manovrando la leva ricattatoria degli “aiuti umanitari”.
Al G20 straordinario per l’Afghanistan il Presidente italiano Mario Draghi ha dichiarato: “L’impressione è che i talebani e l’Isis non siano amici”. O bella, ma che bravo, che intuizione formidabile, la scoperta dell’acqua calda.
La posizione più intelligente l’hanno presa i Paesi che di fatto a questa buffonata del G20 non hanno partecipato, Russia e Cina: richiamandosi al principio della autodeterminazione dei popoli e quindi all’illegittimità “dell’interferenza negli affari interni di uno Stato sovrano” e proponendo la restituzione a Kabul delle riserve finanziarie detenute nelle Banche Usa e in Gran Bretagna. Una appropriazione, questa, del tutto indebita perché non è sufficiente che uno Stato cambi il proprio Governo per rendere legittimo il sequestro delle sue riserve auree. E’ a questo sequestro, e non al governo talebano, che vanno attribuite molte delle difficoltà in cui si trova oggi l’Afghanistan.
Naturalmente gli occidentali, sempre più ”umanitari”, condizionano i loro interventi finanziari ponendo delle condizioni: sui diritti civili, sui diritti delle donne allo studio e al lavoro e così via. Si scrive che attualmente le donne possono frequentare solo le elementari. In un’intervista rilasciata al Corriere il portavoce dei Talebani e capo della Commissione culturale Zabihullah Mujahed ha assicurato che questi diritti verranno garantiti e che al più presto le scuole superiori e le Università saranno aperte a tutti, secondo programmi uguali per tutti, uomini e donne. Ma che bisogna lasciar loro un po’ di tempo. Naturalmente tutto ciò all’interno dell’interpretazione hanafita, che è la loro, della Sharia. “A queste tradizioni millenarie non intendiamo rinunciare” ha aggiunto. Non si può pretendere che i talebani abbandonino la propria cultura e le proprie tradizioni. Non hanno combattuto vent’anni per questo. Non si può chieder loro di adottare una costituzione liberale di tipo occidentale. Non hanno combattuto vent’anni per trovarsi di nuovo sul collo la “cultura superiore”. Ricadiamo qui, ancora una volta, nel “vizio oscuro dell’occidente” di voler imporre la propria cultura, le proprie istituzioni, la propria democrazia all’universo mondo, si chiami Afghanistan o Libia o Venezuela. Tutto ciò senza sapere né capire nulla delle culture di quei Paesi. Che ne sa l’Onorevole Draghi, un banchiere che non è mai stato in Afghanistan, che lo conosce solo dalle carte geografiche, delle tradizioni, dei costumi, delle usanze di quel Paese? Che ne sanno i vari Capi di Stato che hanno partecipato al G20 straordinario?
Qualche anno fa un giornalista Rai intervistò il Comandante delle forze sovietiche che avevano occupato a suo tempo l’Afghanistan e gli chiese: “Che cosa dobbiamo e possiamo fare per salvare l’Afghanistan?” rispose: “bisogna lasciare che gli afghani si salvino da soli”. Cioè bisogna lasciare che ogni popolo si evolva, o anche non si evolva, secondo la propria volontà, le proprie tradizioni, la propria storia.
C’è stato bisogno di un Comandante sovietico perché ci desse una lezione di democrazia internazionale.
Il Fatto Quotidiano, 16 Ottobre 2021