Dall’Afghanistan ci giungono notizie devastanti sulle condizioni dei bambini in quel Paese e filmati ancor più raccapriccianti dove si vedono questi piccoli ridotti alla fame e denutriti. Secondo il World Food Program, Organizzazione Onu: “Circa 3,2 milioni di bambini sotto i cinque anni d’età soffrono già di malnutrizione acuta e un milione potrebbe presto perdere la vita”.
Si sottace pudicamente che se l’Afghanistan è ridotto com’è ridotto, non solo per la condizione dei bambini, è perché viene da vent’anni di occupazione occidentale e durante gli ultimi cinque, i Talebani hanno dovuto combattere anche l’Isis che, dopo la sconfitta dello Stato islamico Araka e Mosul, è penetrato anche in Afghanistan.
Nonostante le fonti di informazione siano più che attendibili: Medici Senza Frontiere ad Herat, che peraltro nei vent’anni di occupazione è stata forse la città più protetta perché noi italiani avevamo fatto patti di non aggressione con i Talebani e perché era sotto la protezione del “padrone di casa”, Ismail Kahn, uno dei più potenti signori della guerra; l’inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi, in Afghanistan dal 2001 che firma un articolo dal titolo inequivocabile: “Kabul, la fame che uccide i bambini”. C’è qualcosa che non mi suona in questo allarme: si vuole dimostrare che i Talebani, che peraltro sono al governo da soli tre mesi, non sono in grado di governare l’Afghanistan.
Ma il discorso non mi torna per un altro motivo. Durante i sei anni del primo Emirato islamico d’Afghanistan, quello fondato dal Mullah Omar, i media occidentali non perdevano occasione, foss’anche di dettaglio, per infamare i Talebani descritti unanimemente come “brutti, sporchi e cattivi” se i bambini afgani fossero stati nelle condizioni in cui vengono descritti ora se ne sarebbe fatto uno scandalo, mentre su questo aspetto non ci si è mai soffermati. Perché? Per la semplice ragione che bimbi denutriti e alla fame nell’Afghanistan del Mullah Omar non ce n’erano. Come mi ha confermato Gino Strada, in Afghanistan dal 1999, che aveva un Ospedale anche pediatrico a Kabul e un altro a Lashkar-gah. Eppure anche quell’Afghanistan veniva da due anni di guerra civile (1994-1996) fra i “signori della guerra”, conflitto cui porrà fine il Mullah Omar conquistando il potere nel 1996, ricacciando i “signori della guerra” oltreconfine e dando i soli sei anni di ordine e di pace a quel Paese. Anche l’Afghanistan talebano si trovava quindi in una situazione da dopoguerra ma bambini alla fame non ce n’erano o se c’erano entravano nelle proporzioni fisiologiche. I Talebani di allora sono stati quindi perfettamente in grado di tenere sotto controllo la situazione alimentare non solo per i bambini ma per l’intera popolazione. Anche se Omar nel 2000 aveva preso l’inaudita decisione di stroncare la coltivazione del papavero da cui si ricava l’oppio, su cui si sosteneva la maggioranza dei contadini afgani, peraltro ricavandone un miserabile 1% sull’intero traffico.
I problemi dei bambini afgani erano semmai di tutt’altro tipo. Soprattutto all’inizio della guerra gli americani hanno utilizzato proiettili all’uranio impoverito che causano leucemie, tumori, deformazioni genetiche, tipo Hiroshima. Che questi proiettili siano micidiali lo dimostra una comparazione con quanto è accaduto ai soldati italiani che hanno combattuto nella ex Jugoslavia, 7600 si sono ammalati di cancro e 400 sono morti. Ma mentre i nostri soldati erano avvertiti del pericolo, un bambino afgano che razzola sul terreno e, come tutti i bambini, raccoglie tutto ciò che gli capita a tiro, questo non lo sa. Raccontava nel marzo del 2003 un vecchio contadino, Jooma Khan, che viveva in un villaggio della provincia di Laghman, nell’Afghanistan nord-orientale: “Quando vidi mio nipote deforme mi resi conto che le mie speranze per il futuro erano scomparse. Ciò è differente dalla disperazione provata per le barbarie russe, anche se a quel tempo persi mio figlio più grande, Shafiqullah. Questa volta invece sento che noi siamo parte dell’invisibile genocidio che l’America ci ha buttato addosso, una morte silenziosa da cui non poter fuggire”. Del resto fin dall’inizio il ministro della Difesa americano Donald Ramsfield aveva preavvertito che la guerra ai Talebani, considerati “terroristi”, anche se in seguito verrà appurato, senza ombra di dubbio, che non c’entravano nulla con l’attacco alle Torri Gemelle, sarebbe stata “particolarmente sporca” e aveva fatto capire che la NATO avrebbe usato anche “gas tossici e armi chimiche” per stanare i terroristi.
L’unico provvedimento del Mullah Omar nei confronti dei ragazzi fu quello di proibir loro di giocare con gli aquiloni. Cosa che provocò una certa sorpresa perché giocare con gli aquiloni è un’antica tradizione afgana ed era abbastanza sorprendente che proprio il Mullah, notoriamente attaccatissimo alle tradizioni del suo Paese, proibisse quell’innocente gioco infantile. Omar spiegò la sua decisione così: “I ragazzi per lanciare gli aquiloni si arrampicano sui tetti delle case e spesso cadono, abbiamo già troppi storpi in questo Paese per aggiungerne altri per un semplice gioco” (da qui il lacrimoso libro “Il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hosseini che ha fatto piangere di commozione e di indignazione molti occidentali).
Se i Talebani furono capaci di tener sotto controllo la condizione alimentare, di adulti e bambini, nel periodo 1996-2001, perché non ne sono capaci ora? Le risposte sono due: o la condizione dei bimbi afgani è effettivamente quella descritta dal World Food Program oppure si fa appositamente dell’allarmismo per dimostrare che i Talebani attuali, molto meno rigidi di quelli dei tempi di Omar, non sono in grado di guidare il Paese e quindi, in un modo o nell’altro, bisogna rimettere le mani sull’Afghanistan e per questo si usano anche, con lacrime ipocrite, i bambini.
Il fatto è che gli americani e i loro alleati non hanno mai digerito la vergognosa sconfitta subìta in Afghanistan ( l’indecoroso fuggi fuggi da Camp Arena ad Herat è una delle vicende più umilianti in cui siano state coinvolte le nostre Forze Armate). Scriveva ancora Cremonesi sul Corriere ( 29/11/2021): “La comunità internazionale non ha ancora trovato il modo di inviare aiuti senza legittimare i talebani e rafforzare indirettamente il loro regime”.
I Talebani si sono legittimati da soli vincendo la guerra. E’ la prima volta, crediamo, che sono i perdenti a voler porre condizioni ai vincitori. È come se, dopo la seconda guerra mondiale, i tedeschi avessero preteso di porre condizioni agli Alleati.
La sola cosa che devono fare gli americani e gli europei, invece di piangere lacrime di coccodrillo sui bimbi afgani, è restituire quei 9 miliardi di dollari che tengono illegittimamente sequestrati nelle loro banche e che appartengono alla banca centrale afgana. Si restituiscano quei fondi illegittimamente rapinati e si vedrà che l’attuale governo talebano riuscirà, lasciandogli un po’ di tempo, a risollevare le condizioni del proprio Paese, bimbi compresi.
Il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2021