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Tutte le notizie negative che possono venire dall’Afghanistan devono essere pubblicate, enfatizzate e se possibile esasperate in senso ancor più peggiorativo. Questo è l’ordine di scuderia per dimostrare che i Talebani non sono in grado di governare il Paese che hanno riconquistato dopo vent’anni di lotta impari, kalashnikov contro missili e bombardieri, mettendo in precipitosa e disordinata fuga il potente esercito occidentale che li aveva invasi.

Secondo una responsabile delle Nazioni Unite, Isabelle Moussard Carlsen, 23 milioni di afgani, cioè più della metà della popolazione (38 milioni) sarebbe alla fame. Curioso. L’Afghanistan è per l’85 per cento del suo territorio un paese rurale e i contadini a meno che non ci sia una carestia - ma carestia in Afghanistan finora non c’è stata - vivendo sulla terra di autoproduzione e autoconsumo non possono soffrire la fame.  All’epoca del Mullah Omar, 1996-2001, nessuno in Afghanistan soffriva la fame, né gli adulti né tantomeno i bambini. Eppure anche quell’Afghanistan veniva da dodici anni di guerra, dieci contro gli invasori sovietici, due di conflitto civile fra “i signori della guerra”, cui pose fine proprio la presa del potere degli “studenti del Corano” guidati da Omar.

Comunque, quale che sia la verità, gli occidentali invece di piangere lacrime di coccodrillo sui bambini alla fame in Afghanistan farebbero meglio a restituire i 9,5 miliardi di dollari della Banca centrale afgana depositati nelle banche americane e da queste illegalmente sequestrati. In ogni modo si dimentica disinvoltamente che se l’Afghanistan è ridotto com’è ridotto è a causa di vent’anni di occupazione occidentale.

Si dice e si scrive che un “numero imprecisato” di membri delle “forze di sicurezza” del governo di Ashraf Ghani e prima di Karzai sia stato giustiziato. E vorrei ben vedere. Forse che in Italia alla fine della seconda guerra mondiale non furono giustiziati i gerarchi fascisti?

Quando si scrive dell’attentato del 26 agosto al terminal dell’aeroporto di Kabul, che causò 90 morti,  si sorvola sul fatto che fu opera dell’Isis e che in quel momento erano ancora gli americani a controllare l’aeroporto e non certo i Talebani. E tutti gli attentati successivi sono Isis perché i Talebani, arrivati al potere,  hanno tutto l’interesse a mantenere l’ordine e non a fomentare il disordine.  

Nell’ottobre del 2021 l’Indipendent diede con grande rilievo la notizia che una pallavolista afgana era stata decapitata dai Talebani. Questa fake fu smentita da una fonte insospettabile, il direttore di Tolo Tv Miraqa Popal che all’epoca in cui è collocata l’uccisione della ragazza era ancora direttore di Tolo e che non aveva nessun motivo di difendere i Talebani perché proprio dai Talebani era stato cacciato e costretto a fuggire in Albania. Popal dichiarò che la ragazza si era suicidata dieci giorni prima della presa del potere da parte dei Talebani. E fermiamoci qui.

Anche ciò che di buono,  in senso occidentale,  fanno i Talebani è deriso. All’epoca del Mullah Omar, come si legge in un decreto della polizia religiosa, le donne quando dovevano uscire di casa “per scopi di istruzione, esigenze sociali o servizi sociali” (istruzione, quindi non è affatto vero che lo studio fosse proibito per principio alle donne) dovevano essere accompagnate da un familiare. Adesso il nuovo governo talebano stabilisce che questo accompagnamento è obbligatorio se si allontanano dalla loro abitazione di 72 chilometri. A noi può far ridere, ma non possiamo guardare al mondo talebano-afgano con l’occhio di occidentali post Rivoluzione francese. I Talebani (non gli afgani in generale, i Talebani) per quanto questo possa apparire sorprendente hanno sempre avuto un grande rispetto per le donne. Certo ne limitano i diritti, ma le rispettano. Tutte le donne che durante vent’anni di guerra sono state prigioniere dei Talebani, dalla giornalista inglese Yvonne Ridley alla cooperante francese Céline, una volta liberate hanno dichiarato di essere state trattate con  correttezza e avendo un particolare riguardo alle loro esigenze femminili.

La giornalista neozelandese Charlotte Bellis mentre era in Qatar si è accorta di essere incinta del suo compagno, il fotografo belga Jim Huylebroek. Poiché in Qatar è proibito avere un figlio senza essere sposati, la coppia ha cercato di rientrare in Nuova Zelanda ma non c’è riuscita per le rigide norme anti-Covid di quel Paese. La coppia è allora riparata in Belgio, ma non poteva restare nemmeno lì perché la donna non era residente. I due avevano i visti validi per l’Afghanistan dove avevano lavorato. Si sono allora rivolti ad alti dirigenti talebani che conoscevano. La risposta è stata:  “Siamo felici per te, puoi stare qui, non avrai nessun problema. Non dire che non sei sposata, ma se lo si viene a sapere rivolgiti ancora a noi. Vedrai non ci sarà nessun problema”. Là dove non sono arrivate le stolte e disumane burocrazie occidentali sono arrivati i Talebani.

Questa notizia è stata riportata dall’Ansa, la nostra più autorevole agenzia d’informazione. Ma nessun giornale, almeno in Italia, l’ha ripresa. Perché non quagliava con l’immagine che ci siamo fatti dei Talebani che devono essere sempre “brutti, sporchi e cattivi” e comunque ostili alla donna.

Il Fatto quotidiano, 8 febbraio 2022