Se gli ucraini si battono con le armi, come è loro sacrosanto diritto, contro gli invasori russi sono considerati, come in effetti sono, dei coraggiosi resistenti, se lo fanno gli afgani, e non per pochi giorni (si spera almeno che siano pochi), ma per vent’anni, sono dei “terroristi” e anche se hanno vinto la partita tali restano tant’è che non si vuol dare legittimità all’attuale governo afghano che altro non è che il proseguimento di quello che c’era prima dell’invasione ed occupazione occidentale e quindi nemmeno un seggio alle Nazioni Unite. Si preferisce confiscargli i 9 miliardi di dollari che il precedente governo fantoccio ha depositato nelle banche americane così come oggi si neutralizzano le banche russe all’estero, confondendo in questo modo gli aggressori, Putin e Nato, con l’aggredito.
In vent’anni non ho sentito una sola voce, tranne la mia, bisogna pur dirlo, levarsi contro l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan non dico, com’è ovvio, dai paesi occidentali occupanti, fra cui c’era anche l’Italia, ma nemmeno da forze neutrali. I vari papi che si sono succeduti dal 2001 non hanno mai pronunciato una parola, una sola, sull’Afghanistan. Eppure in seguito a quell’occupazione ci sono stati in Afghanistan 230.000 vittime civili, non contando, giustamente, i 70.000 caduti talebani perché i Talebani erano dei guerriglieri e quindi, come ogni soldato, sapevano e accettavano i rischi cui andavano incontro.
Adesso che l’aggressore è la Russia è riesploso il pacifismo universale che dormiva da oltre trent’anni, dalla prima Guerra del Golfo. Si favoleggia anche di trascinare Vladimir Putin davanti al Tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra o genocidio. A parte che mi sembra un tantino difficile andare a prenderlo come se fosse un Milosevic qualsiasi, se le cose stessero così davanti a quel Tribunale dovrebbero sedere Bush figlio, Obama, Sarkozy e molti generali tagliagole da Abdel Fattah Al Sisi a Recep Tayyip Erdoğan.
Insopportabile è poi la retorica sui bambini di cui si è fatto veltro, insieme a tantissimi altri, Walter Veltroni con un articolo sul Corriere del 26/02 intitolato I bambini e la guerra. Durante la prima Guerra del Golfo (1990) gli americani, per non affrontare fin da subito l’imbelle esercito iracheno che era stato battuto perfino dai curdi, bombardarono per tre mesi Baghdad e Bassora uccidendo più di 160.000 civili fra cui 32.195 bambini. Mi ricordo che quando a Zapping, dove allora ero spesso invitato, riferivo questa cifra mi aspettavo che si replicasse che raccontavo fandonie (ma questo non potevano farlo perché erano dati, sia pur sfuggiti di mano, del Pentagono) o con grida di orrore. Invece niente, si continuava a parlare di Rutelli o di altre scemenze del genere. È vero che la prima Guerra del Golfo aveva una sua legittimità perché Saddam Hussein aveva aggredito il Kuwait, uno stato sovrano peraltro inventato dagli americani nel 1960 per usi petroliferi. Però questo i 32.195 bambini iracheni, che non sono meno bambini di quelli ucraini o dei nostri bambini, non potevano saperlo.
Nella seconda Guerra del Golfo, del 2003, che è costata all’Iraq fra i 650 e i 750 mila morti civili, Saddam fu aggredito sulla base di una menzogna: che possedesse “armi di distruzione di massa”. Queste armi in effetti Saddam le aveva avute, gliele avevano fornite gli americani, i francesi e, via Germania Est, i sovietici perché le usasse in funzione antiraniana e anticurda. Ma nel 2003 non le aveva più perché le aveva esaurite appunto sui soldati iraniani e sui curdi. Ad Halabja, piccola cittadina curdo-irachena, “gasò” in un sol colpo 5000 persone. Ma in Occidente nessuno alzò un solo laio perché in quel momento il rais di Baghdad era un nostro criptoalleato (e quando verrà giustiziato non sarà per Halabja, genocidio in cui gli occidentali erano fortemente compromessi, ma per fatti di molta minor gravità).
Ma la vicenda forse più clamorosa, come ho ricordato sul Fatto del 26/02, è quella che riguarda l’aggressione del 2011 alla Libia del colonnello Gheddafi, un’aggressione che, come quelle precedenti alla Serbia per il Kosovo del 1999 e all’Iraq del 2003, venne perpetrata non solo senza l’avallo dell’ONU ma contro la volontà dell’ONU e soprattutto senza alcun valido motivo. I pruriti terroristici di Gheddafi erano spenti da tempo. Gheddafi commerciava con la Francia e con l’Italia e proprio con quest’ultima aveva ottimi rapporti tanto che il premier Berlusconi lo ospitò in pompa magna a Roma, permettendo ai suoi beduini di attendarsi nella caserma intitolata a Salvo D’Acquisto. Ma quando la Libia di Gheddafi fu aggredita dai franco-americani, con l’appoggio dell’Italia di Silvio Berlusconi che pur declamava un’amicizia quasi omosessuale col colonnello come farà poi in seguito con Putin, nessuno osò proferire parola. Gheddafi verrà poi linciato, torturato e ucciso in un modo talmente barbaro che farebbe arrossire anche i cosiddetti “tagliagole dell’Isis”. I risultati di questa gloriosa operazione, comunque illegittima in partenza, a prescindere, sono oggi sotto gli occhi di tutti. La Libia di Gheddafi era un paese ordinato, in sostanza il colonnello si limitava a favorire la sua tribù d’origine, i Warfalla, e svariati parenti e amici, cosa che peraltro si fa anche in Italia. Oggi la Libia è un campo di battaglia tra le tribù che Gheddafi riusciva a tenere sotto controllo e in questo parapiglia si inserisce Isis. Gli scafisti devono pagare una taglia all’Isis per poter salpare dalle coste libiche con i loro barconi sfondati, carichi di persone che provengono perlopiù da paesi dell’Africa subsahariana ridotti alla fame proprio dall’intrusione del nostro modello di sviluppo che ha scalzato il loro sul quale quelle genti avevano vissuto, e a volte prosperato, per secoli e millenni.
L’Occidente non ha quindi alcun titolo per poter far la morale a nessuno. Nemmeno a Putin. E se in Italia serpeggia, sia pur sotto traccia per non essere massacrati dalla communis opinio, una certa simpatia per Putin, non è certo per una qualche animosità contro l’incolpevole e aggredita Ucraina. E’ un contraccolpo del collaudato metodo dei “due pesi e due misure”, insomma dell’esasperante e insopportabile ipocrisia occidentale.
Il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2022