Finalmente l’Europa ha dato un colpo, un segno di vita. Per la verità le reazioni del presidente francese Emmanuel Macron e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrel, spagnolo, alle parole con cui in sostanza Joe Biden, dopo aver definito Vladimir Putin “macellaio”, “criminale di guerra”, “assassino”, faceva capire non solo di augurarsi un colpo di stato in Russia ma di stare operando per attuarlo, non sono che il proseguimento del tentativo in atto da anni dell’Europa, e in particolare di Germania e Francia, di affrancarsi, sia pur con prudenza e lentamente, a parer nostro troppo lentamente, dalla tutela della Nato, che è un organizzazione in totale possesso degli Stati Uniti, e quindi dall’ “amico americano” e da quell’ “atlantismo” cui siamo condannati dalla fine della seconda guerra mondiale. Aveva cominciato cinque anni fa Angela Merkel affermando “gli americani non sono più i nostri amici di un tempo, dobbiamo imparare a difenderci da soli”. Il che voleva dire armare un vero esercito europeo. E aveva proseguito Macron definendo la Nato in uno stato di “morte cerebrale”. Una mano in questo senso l’aveva data anche Donald Trump, forse il miglior Presidente, insieme a Nixon, che gli Stati Uniti abbiano avuto nel dopoguerra, uno che, ragionando da imprenditore, ha deciso di ritirare il proprio contingente dall’Afghanistan considerando una follia spendere 100 miliardi di dollari l’anno per “una guerra che non si poteva vincere” (la fuga indecorosa dei contingenti occidentali dall’Afghanistan non è attribuibile a Trump ma alle incapacità di Biden, quella italiana all’insipienza dei nostri Comandi). Uno che, a differenza dei suoi predecessori, non ha inanellato guerre disastrose (Iraq e Libia) le cui conseguenze si sono poi regolarmente riversate sull’Europa, preferendo investire le risorse nel proprio Paese. Bene, per questi stessi motivi, Trump aveva definito la Nato “inutile”.
Ad alimentare questo latente antiamericanismo e antiatlantismo ha provveduto Biden quando a Bruxelles ha partecipato al vertice Nato, al G7 e al Consiglio Europeo, con l’arroganza del padrone che detta legge. Biden non si è comportato semplicemente come il capo effettivo della Nato, cosa che tutti sapevamo, in questo senso un chiarimento utile, ma anche come il padrone della politica europea. L’arroganza di Biden in tutti i consessi cui ha partecipato in Europa è stata, prima ancora delle parole pronunciate in Polonia in cui prefigurava un colpo di stato contro Putin, la goccia che ha fatto traboccare il vaso di chi non si sente un atlantista doc e vuole un’Europa unita, sufficientemente armata per difendersi, equidistante dai due blocchi e forse, a bocce ferme, non in questo momento in cui Putin sta aggredendo sanguinosamente l’Ucraina, più vicina alla Russia che agli Stati Uniti per motivi geografici, energetici e anche culturali. Alle spalle della tradizione europea ci sono la Grecia antica e la latinità, largamente estranee alla cultura yankee. Insomma l’atlantismo ha risposto a uno stato di necessità, ma nulla dice che debba continuare in eterno. In un mondo tanto cambiato dal punto di vista geopolitico e dove si è affacciata con forza un’altra Superpotenza, la Cina, con cui bisognerà pur fare i conti senza preconcetti ideologici perché rappresenta un mercato enorme e attraente per le imprese europee (anche se è vero pure il contrario).
Naturalmente quello che stiamo dicendo vale solo per una parte, in genere carsica per il timore delle ritorsioni della cultura dominante, del pensiero europeo. Non vale per chi è sdraiato come una sogliola ai piedi dello zio Sam. Prendiamo, a titolo di esempio, un articolo di Marco Gervasoni pubblicato sul Giornale (24/03): “Non c’è bisogno di una sentenza di tribunale internazionale: se la principale potenza del pianeta ti definisce così (“un criminale di guerra” ndr) e non lo aveva mai fatto neppure con i leader sovietici…, vuol dire che sei finito. Ti sei posto al di fuori dal consesso civile”. A parte che i Tribunali internazionali per “crimini di guerra” sono una tragica farsa perché, da Norimberga in poi, sono i tribunali dei vincitori (per i crimini nella ex-Jugoslavia sono stati condannati solo i Serbi, non i Croati che ne avevano commessi altrettanti) non spetta al capo di una Potenza, foss’anche la più grande delle Superpotenze, sentenziare sui crimini altrui. I criminali si combattono, quando occorre, non si giudicano. Questa è una visione molto americana del diritto internazionale.
Che fare dunque? L’Europa deve armarsi adeguatamente ed avere un unico comando militare. E quando diciamo “adeguatamente” intendiamo anche che debba essere tolto alla Germania democratica l’anacronistico divieto di possedere armi nucleari. Non è tollerabile che quest’arma decisiva, oltre alle grandi potenze, Stati Uniti, Russia, Cina, India, ce l’abbiano il Pakistan, la Corea del Nord, Israele e non il più importante e trainante Paese del Vecchio Continente. La cosa è tanto più urgente adesso che la Gran Bretagna, altra potenza nucleare, ha lasciato di fatto l’Europa ed è legata, per motivi storici più che legittimi, agli americani. La Bomba, è vero, ce l’ha anche la Francia. Ma sulle capacità militari dei francesi c’è molto da dubitare, le hanno sempre buscate da tutti anche se hanno avuto l’abilità di far finta di aver vinto una guerra, l’ultima, che avevano invece perso.
L’Atomica, dunque, non per aggredire alcuno, ma per avere il deterrente necessario per non dover eternamente dipendere dalla tutela altrui. “Un’Europa unita, neutrale, armata, nucleare e, nei limiti del possibile, autarchica” questa è la mia formula da sempre.
Il Fatto Quotidiano, 3 aprile 2022