“Trattare con Putin è come negoziare con un coccodrillo che ha la tua gamba nelle sue fauci” ha detto Boris Johnson durante un viaggio aereo che lo portava in India. Gli inglesi sembrano determinati quanto gli americani, e forse ancor più degli americani, a non arrivare a una qualsiasi pace concordata con Vladimir Putin, ma a spazzarlo via dalla faccia della terra. Probabilmente nella loro psiche gioca prepotentemente l’esperienza degli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale. Gli inglesi non volevano la guerra, volevano continuare a ruminare in tranquillità la propria vita quotidiana, per questo accettarono prima l’Anschluss, che peraltro non era una vera e propria guerra di aggressione perché gli austriaci accolsero con entusiasmo l’annessione alla Germania, poi i Sudeti, poi la presa della Cecoslovacchia. Né gli inglesi né i francesi volevano una guerra contro la Germania nazista, da qui il tanto infamato Patto di Monaco del 1938 fra Chamberlain e Daladier da una parte e Hitler e Mussolini dall’altra. Ma quando i nazisti aggredirono la Polonia nel 1939 la guerra alla Germania, per la quale gli inglesi e tantomeno i francesi si erano preparati, divenne inevitabile. La cosa curiosa è che nemmeno Hitler voleva muover guerra ai britannici, considerati una sorta di “cugini”, c’è tutta una accreditata letteratura in proposito e il misterioso viaggio in Scozia di Hess, il numero due del Reich, il 10 maggio 1941, ne è una conferma. Hitler voleva prendersi l’Europa tedescofila, o di cultura tedesca, per il resto, almeno all’apparenza, non aveva altre ambizioni tant’è che non c’è mai stata alcuna politica coloniale tedesca, alla moda degli inglesi, dei francesi, dei belgi, degli olandesi. E fino agli anni ’70 del secolo scorso nell’Africa nera Hitler era un mito proprio perché aveva combattuto i colonialisti europei. Insomma il Fuhrer voleva una parte dell’Europa, quella che pensava spettasse alla Germania, il resto l’avrebbe lasciato all’influenza inglese. Ma a questa prospettiva i britannici, che della Democrazia hanno il culto, dissero di no. E fu la Seconda Guerra Mondiale.
Gli stessi problemi si pongono oggi con l’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina. La domanda che tutti si pongono è: fin dove vuole arrivare Putin? Le sue ambizioni, dopo l’annessione di fatto della Crimea che è russa da sempre, si fermeranno al Donbass dove la situazione è molto più complessa perché qui i russofili rappresentano la maggioranza ma non l’intera popolazione? Nessuno lo può sapere. Ma rispetto al 1939 c’è oggi una variabile, insieme tranquillizzante e terrorizzante. Questa variabile si chiama l’Atomica. Tranquillizzante perché non si può pensare che nessuno dei due contendenti in campo, Jo Biden e Putin, perché l’Ucraina di Zelensky, checché ne pensi il presidente di quel Paese, è solo un pretesto nello scontro fra le due grandi Superpotenze, sia così pazzo da iniziare una guerra nucleare. La Bomba infatti, da quando è stata inventata (“Baby is born”) è sempre stata considerata solo un determinante deterrente. Osarono utilizzarla solo gli americani nel 1945 ma perché non avevano di fronte un’altra potenza nucleare. In realtà, come scrisse Umberto Eco, le bombe su Hiroshima e Nagasaki furono solo un avvertimento all’Unione Sovietica (guardate che noi quest’arma ce l’abbiamo). Come avvertimento a noi sembra un tantino pesante, ma lasciamo perdere. L’atomica è un’arma tanto micidiale quanto inutilizzabile, perché è come gettarsela sui piedi. Le radiazioni infatti non rispettano i confini. La guerra atomica esce dall’ambito della guerra ed entra in quello dello zero assoluto perché significherebbe la scomparsa o la mutazione genetica dell’umanità intera. Si legga o si rilegga in proposito il romanzo di Philip Dick Cronache del dopo Bomba.
Il Fatto Quotidiano, 26 aprile 2022