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Non so se per dabbenaggine o piuttosto per malizia tutti i media, alla chiusura delle urne, si sono concentrati sul flop dei referendum sulla Giustizia. Non era questa la notizia perché quel flop era abbondantemente annunciato.  La notizia riguardava il livello di astensionismo alle comunali che poteva essere accertato già mezz’ora dopo le 23 e sul quale i media hanno preferito sorvolare non solo in prima battuta ma anche molte ore dopo cercando comunque di far confusione fra elezioni e referendum.

L’affluenza alle urne per le amministrative 2022, dove pur si votava per alcune importanti città, è stata del 54,7 %. Nella precedente tornata, quella del 2017, l’affluenza era stata del 60,07 %. Sei punti in più. Nel 2013 aveva votato il 75 % degli aventi diritto. In dieci anni un buon quarto della popolazione se l’è squagliata, ha disertato le urne . Non si tratta, come si dice e si scrive, di disaffezione per la politica e nemmeno per la democrazia, ma per quella sua forma degenerata che si chiama partitocrazia. Più che di disaffezione siamo di fronte a un autentico rigetto nei confronti dei partiti per il progressivo discredito che sono venuti accumulando anno dopo anno. Che i partiti godano di una cattivissima fama presso una buona parte della popolazione se ne sono accorti persino gli uomini politici anche se ne parlano a bassa voce. Alle comunali di Parma di quest’anno solo un candidato, Priamo Bocchi, si è presentato con un partito, Fratelli d’Italia. Tutti gli altri hanno preferito nascondersi nelle “liste civiche”. Ma quello di Parma non è stato un caso isolato, ha riguardato molti dei 978 comuni su cui i cittadini sono stati chiamati a votare. Sono diventati tutti, o quasi, “civici”. C’è anche chi ci tiene a precisare, puntigliosamente, di non esser mai stato iscritto a un partito (Vignali, candidato del centro-destra a Parma).

I cittadini, quasi la metà per il momento ma la percentuale potrebbe aumentare nei prossimi anni fino a mettere in dubbio la legittimità del sistema, hanno capito che i partiti sono delle lobbies che si autoproteggono e proteggono i loro adepti. Chi vota non sceglie un candidato per chissà quali meriti o programmi o ideali, ma per ottenere protezione. Molto significativo è quanto dice, intercettato, Pietro Polizzi, candidato nelle liste di Forza Italia a Palermo, a due noti esponenti mafiosi, Manlio Porretto e Agostino Sansone che ospitarono Totò Riina negli ultimi tempi della latitanza: “Se sono potente io… siete potenti voialtri”. Si dirà che qui siamo in ambito prettamente mafioso, ma il metodo dei partiti è lo stesso anche fuori dalla mafia propriamente detta: protezione in cambio di consenso. Ciò che non si tollera in un candidato è l’onestà, quando mai l’avesse. L’affermazione di Benjamin Franklin “L’onestà è una virtù perché dà credito” si è trasformata nel suo contrario. L’onestà è un handicap perché la persona onesta si sottrae a quei traffici, più o meno loschi, di cui è tessuta la vita dei partiti e più in generale la politica italiana. Lo stesso Norberto Bobbio, che ha dedicato buona parte della sua lunga vita allo studio della Democrazia, ammette che il voto d’opinione, quand’anche ci sia, non conta nulla e aggiunge: “Oserei dire che l’unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito, o credono di aver capito, che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza danni”. E Max Weber afferma che i programmi dei partiti sono delle fanfaluche, prive sostanza. A contare sono i legami clientelari, familiari e, spesso, dichiaratamente mafiosi. In questa situazione in cui minoranze organizzate sono dominanti (oltre ai partiti naturalmente ce ne sono anche altre, soprattutto economiche) naufraga l’uomo libero che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia, se esistesse davvero, e ne diventa invece la vittima designata. Questo gli italiani lo hanno capito e l’astensione è l’unica forma che può assumere la protesta.

Come se non bastasse a questa situazione si è aggiunto il referendum proposto dai radicali e dalla Lega sulla Giustizia. Si è detto e scritto che gli italiani non sono andati a votare questo referendum perché della Giustizia gli importa poco. E vero il contrario. Non ci voleva un esame accurato e approfondito dei vari quesiti per capire che quel referendum era contro la Giustizia e volto a salvaguardare i soliti noti dalle loro malefatte penali. Basti dire che si voleva abrogare la legge Severino che dispone che non possono essere candidati alle elezioni o ricoprire cariche di Governo coloro che sono stati condannati in via definitiva per reati non colposi. Insomma: un “salvaladri” in piena regola.

Fra le pieghe del referendum c’era poi una norma comica che voleva che a partecipare alla valutazione della professionalità dei magistrati fossero anche “esperti in materia giuridica come avvocati e docenti universitari”. Poiché gli avvocati sono, per professione, i principali avversari dei magistrati, con cui si scontrano ogni giorno in aula, è come chiedere a un gatto quando un cane è buono.

Il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2022