Nel docufilm, Il fronte interno, realizzato da Paola Piacenza, Domenico Quirico, importante inviato de La Stampa, afferma tra l’altro: “I poveri nel Medioevo erano visibili e mostrati orgogliosamente come i prediletti da Dio. Erano i ricchi a dover fare fatica, poverini, a passare dalla cruna dell’ago. Oggi invece i poveri si nascondono e sono nascosti, ignorati e censurati. Colpevolizzati, perché non sono stati capaci di obbedire alla prima delle regole sociali, quella che impone di raggiungere il successo”.
Anche se la cosa può apparire sorprendente aggiungerei che i poveri nel Medioevo europeo non esistevano. I mendichi erano l’un percento della popolazione europea ed era mendico chi voleva esserlo, un po’ come i nostri clochard che desiderano restar tali. Secondo la mentalità medievale, come ricorda anche Quirico, avevano, per misteriosi motivi, un rapporto privilegiato con Dio, lo stesso valeva per i pazzi. Insomma i nostri progenitori sapevano metabolizzare, in modo sapiente, anche le diversità più estreme senza dover ricorrere alla legge Basaglia.
Sarà il protestantesimo a introdurre in quella società statica un dinamismo che porterà all’avvento del mondo moderno. Il che è abbastanza strano perché secondo la teoria della predestinazione di Calvino gli uomini sono baciati in fronte o dannati da Dio dalla nascita, teoria che sembrerebbe aprire le porte a una società fatalista, statica, immobile. Che bisogno ho di darmi da fare se sono beato o dannato fin dall’inizio? Che speranze di riscatto ha il povero se, sempre secondo la teoria di Calvino, è un reietto, colpevole di esserlo, che va disprezzato, se non addirittura odiato come “un nemico di Dio che porta su di sé i segni della dannazione eterna” (Max Weber)? L’escamotage per uscire da questa situazione, come chiarisce Weber in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, è il seguente. Come faccio a sapere se sono o no un prediletto da Dio? Elementare Watson. È la ricchezza, conquistata con il lavoro, che mi dà questa certezza. Scrive Weber: “ La valutazione religiosa del lavoro professionale laico, indefesso, continuo, sistematico, come il più alto mezzo ascetico, e al tempo stesso come della più alta, sicura e visibile conferma e prova dell’uomo rigenerato e della sincerità della sua fede, doveva essere la leva più potente che si potesse pensare per l’espansione di quella concezione della vita che noi abbiamo definito come spirito del capitalismo” (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo). All’ascesi si arriva attraverso il duro lavoro e, con esso, alla conquista della ricchezza. Siamo lontanissimi dalla teologia cristiana per la quale non solo il dannato non è il povero ma il ricco (“È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco varchi le soglie del paradiso” – traduzioni più accurate chiariranno che non di un cammello si tratta ma comunque di qualcosa di sufficientemente grosso) e il lavoro, lungi dall’essere un’ascesi, è, almeno secondo San Paolo, “uno spiacevole sudore della fronte”.
Saranno quindi i paesi di cultura protestante a dare la spinta decisiva al capitalismo. Il mondo cattolico farà per lungo tempo resistenza a questa etica e quindi al capitalismo, ma alla fine ne verrà travolto.
Senza andare tanto lontano, ancora negli anni Cinquanta in Italia, Paese profondamente intriso di cultura cattolica, quando eravamo tutti poveri tranne una sottile striscia di borghesia ricca che aveva però il buon senso e anche la prudenza di non farsi vedere e soprattutto di non ostentare, non si dubitava che si potesse essere poveri e felici. In seguito si può essere poveri a condizione però che si sia anche belli. Qualcuno ricorderà il film Poveri ma belli. Adesso anche quel ma, congiunzione avversativa che già di per sé la dice lunga su tutta una mentalità, è stato abbattuto. Semplicemente: chi è povero non può essere felice, senza se e senza ma.
“I ricchi sono diversi dagli altri” diceva, sconsolato, Fitzgerald. Ed Hemingway gli rispondeva sarcasticamente: “Sì, perché hanno più denaro”.
Il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2022