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“Europeismo” e “atlantismo” sono due termini che nell’uso comune sono considerati se non proprio coincidenti comunque strettissimamente legati fra di loro. Non si può essere europeisti senza essere anche atlantisti. Le cose non stanno così, tantomeno oggi.

Essere “europeisti” significa lavorare per un’Europa più unita dal punto di vista politico di quanto non lo sia attualmente, smussandone gli estremismi alla Orban, e sufficientemente armata (leggi l’Atomica per ora in dotazione ai soli francesi) per non dover dipendere da pelose protezioni altrui (leggi Stati Uniti o domani magari, a seconda di come evolvano gli equilibri geopolitici internazionali, Cina), economicamente autosufficiente nei limiti in cui questo è possibile in un mondo divenuto globale.

“Atlantismo” significa invece una dipendenza politica, militare, economica agli Stati Uniti e ai loro interessi. L’“atlantismo” ha avuto un significato fino al 1989 quando ci fu il collasso dell’Unione Sovietica. Gli americani erano infatti gli unici ad avere il deterrente militare necessario per scoraggiare l’“orso russo” da pericolose avventure in Europa Ovest (per la verità questo è ciò che si faceva credere alla gente, perché a Jalta nel 1945, quelli che usiamo chiamare “i grandi della Terra”, Roosevelt, Churchill, Stalin, avevano già deciso quelle che erano le rispettive zone di influenza e ci volle il coraggio di Tito per creare il gruppo dei “Paesi non allineati” che non intendevano dipendere né dall’Urss né dal cosiddetto Occidente, ma seguire i propri interessi che non avevano niente a che vedere con quelli dei due blocchi).

Dopo il collasso dell’Urss (che nel frattempo aveva provveduto a soffocare nel sangue le rivolte che si erano create nel blocco sovietico, quella di Imre Nagy del 1956, quella di Dubček nel 1968) la protezione degli Stati Uniti, che nel frattempo avevano utilizzato la vittoria militare nella seconda guerra mondiale per mettere l’Europa in stato di minorità, militare, politica, economica e alla fine anche culturale, non era più necessaria. Invece l’Europa si fece trascinare nella politica avventuristica americana, quella teorizzata dal primo Bush che ispirato dall’ideologo Fukuyama (La fine della storia e l’ultimo uomo) riteneva che il mondo fosse fatalmente destinato a “la Terra Promessa della Democrazia, della diffusione di una cultura generale del consumo, del capitalismo su base tecnologica”. Gli europei si fecero perciò trascinare in guerre ideologiche che erano totalmente in contrasto con i loro interessi. L’esempio più evidente e clamoroso è stato la guerra alla Serbia del 1999. In Serbia si era creato un contrasto fra lo Stato serbo e la regione del Kosovo, da sempre politicamente e giuridicamente serba (anzi il Kosovo era considerato, per ragioni storiche, la patria della “nazione serba”) e gli abitanti dello stesso Kosovo che per ragioni di natalità erano diventati la maggioranza. C’erano quindi due ragioni a confronto: quella della Serbia a conservare l’integrità del proprio territorio e quella degli indipendentisti albanesi, peraltro finanziati e armati dagli americani. E’ una situazione esattamente speculare a quella che c’è oggi fra Ucraina, Russia e Donbass. Le ragioni di uno Stato a conservare la propria integrità territoriale, cioè quella della Serbia, e l’indipendentismo kosovaro, così come oggi esiste il contrasto fra l’Ucraina e l’indipendentismo filo russo del Donbass. All’epoca gli americani decisero che la Serbia aveva torto e gli indipendentisti albanesi ragione e bombardarono per settantadue giorni una grande capitale europea come Belgrado. Alla luce di questo precedente è difficile condannare oggi Putin perché bombarda Kiev che, sia detto con il dovuto rispetto, in epoca moderna è un po’ meno importante di Belgrado (Kusturica e Bregovic). I serbi uscivano da un’altra tragica esperienza, quella della dissoluzione della Jugoslavia. In particolare in Bosnia dove il maresciallo Tito era riuscito a tenere miracolosamente in piedi tre etnie che si odiano da sempre: croati, serbi e musulmani. I serbi avevano vinto quella guerra un po’ perché, almeno a sentire chi se ne intende di queste cose, sono sul terreno (sul terreno non in una guerra di droni) i migliori combattenti del mondo (oggi forse lo sono gli Isis a cui non importa niente morire) un po’ perché appoggiati dalla madre patria serba, ma nella stessa situazione si trovavano i croati bosniaci appoggiati dalla Croazia. Nella posizione più debole si trovavano i musulmani che vivevano in Bosnia che non avevano un retroterra e avevano solo qualche appoggio dal lontano Iran. La guerra slava aveva avuto un precedente. Alla dissoluzione della Jugoslavia i croati e gli sloveni chiesero, in base al sacrosanto principio dell’autodeterminazione dei popoli sancito a Helsinki nel 1975, l’indipendenza appoggiati dalla Germania e dal Vaticano. E la ottennero. Ma una Bosnia multietnica, quella che aveva creato Tito, aveva senso all’interno di una Jugoslavia multietnica. Allora i serbi di Bosnia chiesero a loro volta l’indipendenza o l’annessione alla madre patria serba. Ma quello che era stato accordato a Croazia e Slovenia fu negato ai serbi i quali scesero in guerra e la vinsero. Ma intervennero gli americani che decisero che i serbi avevano torto e trasformarono i vincitori in vinti creando uno stato fantoccio qual è la Bosnia di oggi. Per cui io prevedo che questo stato posticcio che è oggi la Bosnia salterà. Così come non escludo che l’esercito di Belgrado aggredisca militarmente il Kosovo dove ai 50.000 serbi rimasti in quella regione (erano 360.000, la più grande “pulizia etnica” dei Balcani) è proibito anche di esser serbi e devono circolare con documenti kosovari. E non sarà loro difficile, ai serbi, sol che lo vogliano, spazzar via il contingente Nato (KFOR) costituito in maggioranza da italiani, noti combattenti.

Il lettore dirà che sto scrivendo follie. Ma erano considerate follie anche quelle che scrivevo quando affermavo che il più potente esercito del mondo sarebbe stato sconfitto in Afghanistan dagli straccioni talebani (“le sbobbe sul Mullah Omar” le chiamava il mio direttore di allora Antonio Padellaro). Abbiamo poi visto come è andata a finire. Facendo un passo indietro ricordo che una nota editorialista, che oggi lavora al Fatto, figlia di grande Autorità, appoggiò senza riserve l’aggressione americana alla Serbia. Poi si è pentita. Il discorso di questa signora era particolarmente ridicolo perché negava ai serbi il diritto di considerare il Kosovo la loro patria storica ed emotiva, mentre per anni ci aveva rotto i coglioni e continua a romperceli affermando che Israele ha diritto di stare dove sta per ragioni altrettanto storiche, o pseudostoriche, ed emotive.

L’aggressione di Putin all’Ucraina (paese di cui abbiamo scoperto in corso d’opera che era zeppo di armi americane, forse anche chimiche) è stata particolarmente stupida. Ha rafforzato una Nato che non esisteva più. Il presidente francese Emmanuel Macron aveva definito la Nato uno “spettro” e lo stesso Trump l’aveva dichiarata “inutile”. Qualche anno prima la preveggente Angela Merkel (quanto ci manca) aveva affermato testualmente: “Gli americani non sono più i nostri amici di un tempo, dobbiamo imparare a difenderci da soli”. Con la sua azione Putin ha riportato all’onor del mondo la Nato, che era in stato di rianimazione, quasi come un ammalato di Covid all’ultimo stadio, per cui oggi anche paesi da sempre neutrali, come la Svezia e la Finlandia, vogliono entrare in questa organizzazione.

Talleyrand diceva: “Preferisco i delinquenti ai cretini perché i primi ogni tanto si riposano”. Putin è riuscito a essere nello stesso tempo un delinquente e un cretino.

Penso che se al posto di Joe Biden, che fa fatica a stare in piedi, ci fosse stato il malfamato Donald Trump, la guerra ucraina non ci sarebbe mai stata o sarebbe durata pochi giorni. Perché il malfamato che è un imprenditore guarda ai quattrini (per questo ha ritirato il contingente yankee dall’Afghanistan e non ha fatto guerra alcuna) e non ha fumose ambizioni pseudo geopolitiche. Ciò che gli interessa è che i suoi cittadini abbiano una vita economicamente migliore, non di conquistare alla democrazia, col permesso di Fukuyama, il mondo intero.

Caro Max, in effetti con le “sbobbe sul Mullah Omar” in passato hai un po’ ecceduto, ma a te si perdona tutto. (M.Trav.)

Il Fatto Quotidiano, 9 agosto 2022